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Le stampe antiche di Gaetano Fontana

Le stampe antiche

Le stampe antiche

In questa rubrica ospitiamo una galleria di stampe antiche riguardanti la città di Castellammare di Stabia. Le immagini di questa meravigliosa esposizione che ritraggono scorci stabiesi risalenti agli inizi del 1700, sono state gentilmente concesse dal sig. Gaetano Fontana.

 

La stampe sono raggruppate per periodo di pubblicazione:

Antica Stabia

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dagli inizi del 1700 al 1830
dal 1831 al 1844
dal 1845 al 1859
dal 1860 agli inizi del 1900

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Alvino: Viaggio da Napoli a Castellammare

Pillole di cultura: Pulcella

a cura del prof. Luigi Casale

È difficile per un parlante napoletano mantenere la pronuncia della prima “l” nella parola “pulcella”. Come è difficile far pronunciare la r ai cinesi. Allora la parola pulcella alla distanza diviene purcella, e se poi – perdendosene il significato – la lingua si fa opaca, la parola impropriamente viene applicata anche al maschietto che in maniera vezzeggiativo viene detto purciello. Il purciello, crescendo, viene chiamato scherzosamente puorco. Da qui il termine ritorna ad estendersi anche alle fanciulle e diventa porca. Almeno così succedeva nella mia famiglia. Per cui puorco, porca, purciello e purcella erano dei temini affettivi che confidenzialmente i genitori riservavano a tutti noi, specialmente quando dimostravamo sagacia, intelligenza e simpatia.
L’enigma di questo che sembrava un paradosso linguistico solo tardi ce lo svelò zia Rosa, fornendoci la chiave di lettura.
Pulcella (pron. Pulsela) altro non era che pulzella = giovane, vergine. Per cui il termine era indicato in maniera appropriato solo per le ragazze. In seguito l’uso l’aveva generalizzato e poi in qualche modo banalizzato in “porco o purciello”. Ora si capisce anche perché in casa nostra esso era sempre accettato come un complimento affettuoso.
Pulzella (o pulcella) come diminutivo deriva da pullus (pulla), che a sua volta è diminutivo di purus (o pura). Perciò va ad indicare la vergine.

Pillole di cultura: ‘a Putéca

a cura del prof. Luigi Casale

Il vocabolario ci dice che bottega viene dal latino apotheca, che è la stessa cosa – si dice calco –del greco apothéke. Che dipendesse dal greco lo si vede in quella acca di “th”. Perché i latini avevano qualche difficoltà a produrre l’aspirazione. Si vedeva che erano parlanti latini, specialmente quando pronunciavano le parole greche. Allora presero l’abitudine di aggiungere la “h” alle parole scritte, in corrispondenza della consonante che doveva essere aspirata. Ma c’era sempre qualcuno che, come Totò, per non sfigurare metteva le “h” dappertutto, specialmente quando era di ritorno da un viaggio o da una missione in Grecia.
Dunque, possiamo riferirci direttamente alla parola greca apothéke (αποθήκη: manca ancora un segnetto sulla vocale iniziale, sulla α [alpha]; ma il mio PC, anche se mi fornisce ottimi servizi, non sa scrivere il greco antico). Il glorioso vocabolario mi indica: da από + τίθεμι [preposizione + verbo], dove apò (prep. di luogo, di tempo o di causa) è un preverbio, e tìthemi è il verbo che significa essenzialmente porre, collocare (vedi le parole italiane “tema” o “tesi”). Quindi, “collocare da parte”, tenere lontano, deporre (per accantonare, ma anche per custodire). Pensate alla farmacia dove si custodivano i veleni. A proposito, se passate dall’Alto Adige, oppure se andate in Austria o in Germania, la farmacia la trovate sotto l’insegna Apotheke. Ma questo gioco voi, amici di scuola media, già lo conoscete, perché usate le parole biblioteca, discoteca, enoteca (dove si custodisce il vino), e di questi tempi anche paninoteca (che brutta parola! Quanto era più dolce e saporita la nostra sana e buona puteca!). E poi leggete (o sentite parlare) – anche se non usate la parola – di teche. Le teche RAI, per esempio. In sagrestia, la teca delle reliquie del santo protettore, o la teca dove si depone l’ostia consacrata prima di richiuderla nel tabernacolo. Per custodirla.
Per oggi basta così. Solo una postilla e uno sconfinamento nella lingua francese. “Boutique” non vi sembra una cugina (voglio dire “appartenente alla stessa famiglia”), un calco insomma, di bottega?
Mentre il negozio in spagnolo è “tienda”. Ma di questo parleremo la prossima volta.

La radio… ed altro

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Quanto sto per dire ai giovani amici potrà sembrare incredibile, eppure è la pura verità. Le trasmissioni radio, in tutto il mondo, ebbero inizio all’incirca dopo il 1920 in modo molto precario. Dopo qualche anno in Italia chi ne intuì l’enorme importanza propagandistica fu il regime fascista. Infatti stava preparando le sue prime manifestazioni di facciata (vedi le prime trasvolate atlantiche nelle due Americhe dell’aviazione italiana) e le più concrete imprese belliche in Africa Orientale.

La radio

La radio

Comparvero i primi apparecchi radio il cui costo non era alla portata di tutte le famiglie. Se lo potevano permettere soltanto quelle che disponevano di discrete risorse economiche, quindi non gli operai del Cantiere ne gli artigiani. Mio nonno che non apparteneva a queste categorie ne comprò uno.
In quel periodo la mia famiglia abitava in via S. Caterina nello stesso stabile del nonno, ed io, sempre curioso, appena potevo mi recavo da lui “a sentire la radio”. La stessa era sempre accesa, da mattina a sera, ma nessuno l’ascoltava perché trasmetteva soltanto musica da camera e in quella famiglia non c’erano orecchie educate a sentire tale tipo di “melodie”. In sostanza questa musica era il sottofondo musicale dei lavori domestici svolto da mia nonna Catella. L’unico che vi prestava una qualche attenzione ero io. I notiziari veri e propri ebbero inizio con le prime avvisaglie relative alla guerra in Africa che si stava preparando.
Poiché i giornali li leggevano in pochi e, come detto, i possessori degli apparecchi radio non erano tanti, per far conoscere alla gran massa dei cittadini l’andamento delle imprese africane fu ideato un mezzo ingegnoso ed efficace. Ecco di cosa si trattava.
Nella nostra bella Villa comunale, all’altezza della banchina ‘e zì Catiello, fu installato in alto, fra le fronde degli alberi, un enorme pannello di legno proprio nel viale di mezzo (‘o viale ‘e miezo). Su questo cartellone era riprodotta in grande scala una carta geografica dell’Africa Orientale (Eritrea, Somalia e Abissinia) dove tutti i giorni venivano indicate con bandierine tricolori le località conquistate dai nostri soldati. E man mano che queste bandierine avanzavano in territorio nemico, l’entusiasmo della gente era quasi da paragonare al tifo che si fa adesso per le squadre di calcio. Essendo in primavera poi erano tanti i cittadini che recatisi in villa per un po’ di fresco si accalcavano sotto questo tabellone.
Per quanto riguarda le altre notizie di carattere generale che riguardavano i cittadini e la vita della città esse venivano portate a conoscenza della popolazione attraverso i manifesti affissi sui muri della città. Normalmente però la gente era interessata maggiormente ai fatti che avvenivano nella via dove abitava, nel rione. Dei vicini di casa, di ciò che avveniva nel rione tutti sapevano tutto.
Le famiglie si confidavano le pene e le gioie. Si pettegolava anche, si facevano delle maldicenze, ma, viva Dio! Quando c’era da darsi una mano questa non mancava mai. A tale proposito voglio raccontare un fatto cui inizialmente fui un testimone diretto.
All’età di 11 anni, nel 1934, mi ammalai gravemente di tifo. Avevo la febbre altissima, a volte deliravo. Le vicine di casa e del rione erano sempre a casa mia a confortare mia madre per portare sollievo alla sua angoscia. Alcune preparavano a volte anche un piatto di spaghetti, di pasta e fagioli, sempre per “dare una mano”. Mentre mi vegliavano queste donne naturalmente parlavano del più e del meno e un giorno, pensando che io stessi dormendo, si confidarono che una certa signora abitante in un vicino palazzo aveva l’amante. Non volendo quindi appresi una notizia abbastanza delicata. Ebbene a questa signora fedifraga non mancò il conforto la solidarietà e l’aiuto delle stesse “commarelle”, quando qualche tempo dopo il marito morì a causa di un terribile incidente sul lavoro lasciandola sola e con 4/5 figli da mantenere. La solidarietà tra poveri non era soltanto un modo di dire.
Oggi con radio, televisioni, internet e tante altre fonti di informazioni siamo sommersi da notizie di tutti i generi. Crediamo di sapere molte cose del mondo, ma non sappiamo come sta di salute il nostro vicino. Sul pianerottolo di casa ci sentiamo già in territorio nemico. E’ vero, cerchiamo di lavarci la coscienza con l’adozione di un bambino a distanza. Ma forse lo facciamo proprio perché è distante. Non ci accorgiamo invece (anzi qualche volta ci infastidisce) di quell’altro bimbo che per la strada ci tende la mano per una monetina.
Della notizie che i suddetti mezzi ci portano in casa da tutto il mondo poche ne restano nel nostro cuore e nella nostra mente: dobbiamo fare spazio alle altre che ci risommergeranno domani. Crediamo di sapere tutto, ma non sappiamo nulla perché niente tratteniamo.
Secondo me le nozioni che ci restano dentro e ci fanno crescere moralmente ed intellettualmente sono quelle che apprendiamo leggendo un bel libro. Ecco perché esorto i miei cari e giovani amici a leggere, a non stancarsi mai di leggere dei buoni libri: il loro contenuto è il nutrimento dell’animo.
Ora però mi accorgo che da un ricordo dei tempi lontani sono scivolato in considerazioni sociologiche d’accatto. Ai lettori di questo bel sito chiedo di scusarmi se ci riescono. Grazie.

Gigi Nocera

Scavi di Stabia, Villa Arianna - Triclinio

Villa Arianna

Villa Arianna
( a cura del prof. Giuseppe D’Angelo, testo tratto da: “Rivivi la Città” )
Scavi di Stabia, Villa Arianna - Triclinio

Scavi di Stabia, Villa Arianna – Triclinio

La villa non è stata ancora del tutto portata alla luce. Si nota l’atrio con un impluvium (vasca per la raccolta delle acque pluviali) e un pavimento in mosaico bianco-nero sulle pareti decorate spicca un piccolo lararium (altare domestico) con un altarino.
Oltre agli ambienti balneari e di servizio vi è il grande peristilio, lungo 104 metri e largo 81, di cui (almeno fino al 1996) era in vista solo l’angolo nord-est.