Archivi tag: Stabiae

Fratièlle e surelle

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Fratièlle e surelle

Fratièlle e surelle

A volte, quando si è in un particolare stato d’animo, capita che un fatto insignificante; la vista di un oggetto; un paesaggio al quale si è fatto poco caso nel passato; il colore di una foglia; una qualsiasi cosa che normalmente passa inosservata e non ci dice nulla, ebbene in quel particolare momento nella nostra mente si risvegliano ricordi accantonati in un ripostiglio del nostro cervello. Gli anni corrono all’indietro (e nel mio caso molto all’indietro, diciamo negli anni 1929/1930) e ci fanno rivivere momenti ed emozioni di quel tempo. Nei giorni scorsi, in una uggiosa giornata d’inizio autunno, passeggiavo ai margini di un bosco di castagni. Ogni tanto calpestavo dei ricci prematuramente caduti dalle piante e le foglie color bronzo che facevano da tappeto sotto le mie scarpe. Sarà stato il silenzio del luogo, l’atmosfera particolare che mi circondava ed ecco che alla mia mente è ritornato il ricordo delle castagne lesse “allesse”. Questo ricordo ne ha richiamato conseguentemente un altro: le feste per onorare la Immacolata Concezione. Come da vecchia tradizione di Castellammare, all’alba di ognuno di quei 12 giorni che mancavano all’8 dicembre, un devoto della Madonna percorreva le strade del rione e con un canto che più che un invito era quasi una invocazione sollecitava i fedeli alla prima messa o alla preghiera. Di questa bella e toccante tradizione potrebbe essere più esauriente e preciso l’amico Giuseppe Zingone. In quelle sere fredde e umide andavo a letto con una certa allerezza perché sapevo che il mattino dopo, al risveglio dovuto a questa bella e armoniosa voce, mi aspettava un bel piatto caldo di allesse. Mia mamma, santa donna, si premurava di farle cuocere la sera prima, per poi riscaldarle al mattino dopo, al momento dovuto. Questa contentezza era condivisa con mio fratello Andrea che dormiva nel mio stesso lettino. In quella casa dove abitavamo allora (sotto l’arco della Pace, dove il sole non entrava mai) d’inverno, come detto, ci facevano compagnia il freddo e l’umidità. Prima di coricarci nostra madre metteva fra le lenzuola gelide una bottiglia di acqua calda, poi sopra le coperte stendeva anche dei cappotti. Mio padre, teneramente, ogni tanto veniva a vedere se eravamo ben coperti e, se del caso, a rimboccarci le coperte fin sotto il mento. Ma ce ne volevano di bottiglie e cappotti per farci prendere calimma (calore). Cosi, raggomitolati e stretti l’uno vicino all’altro, ci illudevamo di non disperdere quel poco di caldo che avevamo accumulato la sera prima stando chini sul vrasiere (braciere) , dove la carbonella bruciava lentamente. E così, tra la veglia e il sonno ci coglieva quel dolce canto che sentivamo scendere dalla “Caperrina”. Prima flebilmente, poi sempre più chiara la voce di questo fedele si faceva largo nel magico silenzio della notte. Che emozione quel canto che si avvicinava pian piano! A volte questa voce taceva per qualche breve momento e noi con ansia attendevamo la ripresa di quella dolce nenia. Man mano però che si avvicinava distinguevamo sempre meglio le parole di questa invocazione. Dopo più di 75 anni, e se la memoria del cuore più che della mente non mi tradisce, la frase che io ricordo era: “Fratièlle e surelle ‘o rosario a Madonna che bello nomme tene a Madonna”. Ma quella voce solitaria, che nel buio e nel silenzio della notte si avvicinava poco a poco, rendeva magica e misteriosa quella atmosfera. Quella voce poi si allontanava lentamente percorrendo le altre vie del rione fino a sparire del tutto. A sostituirla i rintocchi delle campane che invitavano i fedeli alla prima messa. Qui finiva la poesia e la magia; ma per noi bambini cominciava la nostra festa: le castagne bollite. Mia mamma ce le portava nel lettino in un piatto bello caldo. Queste allesse oltre a placare un poco l’appetito che non mancava mai, col loro calore ci aggraziavano le mani che appena emergevano dalle coperte diventavano subito fredde. Per dare l’idea di come soffrivamo il freddo allora, noi piccoli andavamo a dormire con i piedi ancora avvolti nei calzini, che certamente non erano di lana! La realtà della vita, assieme alla perdita del candore della fanciullezza, non mi hanno più ridato quella atmosfera magica e misteriosa. Vive soltanto nel ricordo, ed io ringrazio il buon Dio che non l’ho cancellata dalla mia mente e dal mio cuore. Anche perché a questi ricordi si accompagna la figura premurosa dei miei genitori che non sapevano più cosa fare per non farci soffrire il freddo.

‘E fuocaracchi

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Il fuocaracchio stabiese

Il fuocaracchio stabiese

Caro Maurizio, torno sulla controversa origine dei tradizionali “fuocaracchi” (rif.: “Fuocaracchi stabiesi”), per riconfermare la mia testimonianza, con l’aggiunta di ulteriori considerazioni. Non ricordo che negli 8/10 anni precedenti l’inizio della seconda guerra mondiale (1938/1945) a Castellammare si accendessero tali falò. In quell’epoca, come tu ricordi, in Italia imperava il Regime Fascista, in quel periodo, a parte qualche iniziativa positiva (il sabato fascista, che dimezzava le ore di lavoro in questo giorno; la befana fascista, che il 6 gennaio, donava ai bambini qualche giocattolo o qualche dolciume), quasi tutti gli ordini o disposizioni erano di carattere proibitivo. Per esempio, dopo una certa età ci si doveva sposare. Chi non lo faceva doveva pagare una tassa: “la tassa sul celibato”. Oggi questa legge può sembrare assurda, eppure esisteva. Ma il regime non emanava soltanto leggi e ordini scritti: molte volte erano anche soltanto verbali. Bastava che al “federale fascista” del luogo venisse raccomandato di vietare una data cosa che la voce veniva sparsa e quella tal cosa non si faceva. L’obbedienza dei cittadini a questi ordini era totale. I pochissimi che vi si opponevano erano qualificati come “antifascisti”, ed erano ben conosciuti dalla “milizia fascista” e dalla Polizia. Per loro la vita diventava dura. Quindi per ritornare alla questione che ha originato questa controversia, può darsi che verbalmente fossero state date disposizioni ai federali per vietare i “fuocaracchi”. Le ragioni di tali divieti avrebbero potuto essere le più varie, per esempio evitare infortuni ai cittadini; oppure per non dare adito ai suddetti “antifascisti”, consapevoli o meno, di approfittare di queste occasioni e ritrovarsi per criticare il fascismo. Insomma, i motivi avrebbero potuto essere tanti.

Naturalmente le ragioni suddette sono soltanto ipotesi per spiegare il perché io, in quegli anni che vanno dal 1930 al 1938 non ho mai visto o sentito parlare di questi “fuocaracchi”. Naturalmente le suddette considerazioni non vogliono minimamente mettere in dubbio le affermazioni ed i ricordi del buon signor Alminni, al quale mando in anticipo i miei auguri di buon Natale.
Queste mie osservazioni mi hanno portato a descrivere, anche se sommariamente, il clima politico che si respirava allora e se questa mia passione per la Storia ha urtato la suscettibilità di qualcuno gli chiedo scusa. Ma quella era la realtà dell’epoca. Auguri e buon Natale a te e a tutti i lettori di Libero Ricercatore.

Gigi Nocera.

Gerardo Trattelli (le pitture)

Il rudere di Rovigliano (Gerardo Trattelli)

Il rudere di Rovigliano (Gerardo Trattelli)

Gerardo Trattelli è un artista stabiese formatosi alla Scuola d’Arte di Sorrento, dove nel 1995 si diploma alla sezione di oreficeria. Dopo aver conseguito vari attestati sulla tarsia lignea sorrentina, decide di continuare la propria “avventura” artistica, iscrivendosi nel 1998, all’Accademia di Belle Arti di Napoli (sezione di pittura), laureandosi nel 2003 con una tesi in tecniche pittoriche. Continua a leggere

Catello D’Amato (le pitture)

lettera di presentazione

Gentilissimi dott. Maurizio CUOMO e redazione di Libero Ricercatore, mi chiamo Catello D’Amato, sono nato a Castellammare nel 1953 e all’età di venti anni per lavoro mi sono trasferito a Roma, attualmente risiedo a Sabaudia (LT). Da tempo seguo il Vostro sito e voglio associare i miei complimenti ai tanti che Vi vengono fatti e ringraziarvi per la meritoria opera che svolgete con Libero Ricercatore per la città di Castellammare. Sono un pittore, Vi invio la mia biografia e le immagini di alcune mie opere che spero possano contribuire ad arricchire la Vostra rubrica “Pennellate Stabiesi”. Mi piacerebbe dare il mio piccolo contributo alla Città che mi ha formato e cresciuto. Disponibile all’inoltro di altre immagini ed in attesa di un Vostro gradito riscontro invio i miei più cordiali saluti. Catello D’AMATO.

cenni biografici Continua a leggere