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Stabia – Foggia 2-0

( Firenze, lì 17 giugno 1951 )

Si ringrazia il dott. Carlo F. Vingiani per la gentile concessione dell’articolo

“Con queste immagini “di circostanza”, offro anche io, nel mio piccolo, un contributo al sito degli storici stabiesi”. Carlo Vingiani

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Una corsa sospesa tra roccia e cielo

di Anna Raffone

Il 5 settembre 2010 si è svolta la prima skyrunning dei Monti Lattari, una prima edizione di corsa in montagna, unica nel suo genere in Campania, che rientra in un circuito di gare nazionali Parks Trail.
Il percorso di 17 Km e con un dislivello di circa 1910 mt si snoda in buona parte sui sentieri CAI dell’Alta Via dei Monti Lattari dove si ammirano paesaggi mozzafiato e di rara bellezza dati dalla fusione delle due costiere, quella amalfitana e quella sorrentina.
La partenza è all’incrocio di Moiano per Santa Maria al Castello da qui si lascia la strada per iniziare il sentiero CAI che porta a Montepertuso. E qui subito si percepisce nell’aria l’adrenalina dei tanti atleti provenienti da tutta Italia molti dei quali si cimentano per la prima volta in gare simili e in particolare in questa trail running così suggestiva, dove la natura si è divertita ad arricchire la montagna di essenze aromatiche e di piante tenaci e resistenti all’aridità simbolo della macchia mediterranea come il lentisco, gli olivastri e i carrubi, che qui sono tra i più rigogliosi.

anna raffone

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Una minima distrazione poteva rivelarsi rovinosa, in quanto i sentieri percorsi sono pieni di insidie come ciottoli, buche e roccette, la prudenza non è mai troppa specialmente nei tratti più esposti dove il rischio di una caduta rende facile il volo nello strapiombo su Positano.
Arrivati alla Caserma Forestale inizia la vera sfida con la verticalità del crinale della Conocchia. Un’ascesa al cielo che sembra portare in Paradiso resa ancor più ardua dagli alti gradoni di roccia. La mia sensazione penso che sia stata molto diversa dai podisti che avevo vicini, molti dei quali si lamentavano per l’asperità del percorso, altri procedevano nonostante avessero dei crampi e dolori dappertutto, altri ancora si erano contusi per qualche caduta presa lungo il sentiero pensando comunque di chiudere una gara segnata più da sofferenza e voglia di arrendersi che da sano divertimento al di là dell’exploit agonistico.
Io invece sentivo annullare la gravità del mio corpo, mi sentivo leggera ed impalpabile come le nuvole che all’improvviso scendono e che sembrano sollevarmi in alto fino al punto della Croce della Conocchia.
Con il cambio della pendenza le gambe rotolano da sole, si passa per l’Acqua Santa dove lo scorso febbraio, incredibile a dirsi, ci sono andata con le ciaspole insieme agli amici e soci del CAI Stabia, Raffaele, Giovanna e Lello in una stupenda giornata di sole dopo un’abbondante nevicata notturna.
Questo luogo è permeato da una leggenda che ha l’Arcangelo Michele come protagonista, il quale scacciò Satana dai dirupi di Sant’Angelo a Tre Pizzi, mentre tentava il vescovo di Stabia Catello e il monaco benedettino Antonino, che erano soliti dedicarsi in questi luoghi alla meditazione e alla preghiera: il demonio nel fuggire, urtò contro una roccia lasciando la propria impronta (la famosa Zampata del Diavolo), e dal colpo vibrato dall’Arcangelo nella roccia sgorgò la sorgente conosciuta come Acqua Santa. Questo luogo non solo è intriso di valore spirituale, ma è anche un delicato ecosistema del Faito in cui è presente una rara specie botanica dei Monti Lattari relitto dell’ultima Era glaciale, si tratta di una pianta insettivora, la Pinguicola hirtiflora.
Il culto micaelico sul Monte Faito (detto un tempo Monte Aureo o Gauro), ha origini antichissime, fu introdotto in seguito alle apparizioni di San Michele in sogno ai santi Catello e Antonino sul finire del VI secolo. Questi luoghi erano considerati un baluardo sacro contro le incursioni dei Saraceni e dei Longobardi, per cui vi si rifugiavano i due santi assieme alle popolazioni dell’Ager Stabianus.
Come tributo alla protezione dell’Arcangelo i due santi edificarono un santuario (definito anche oratorio ed abbazia) sulla vetta del Molare a 1444 metri sul livello del mare, la cima più alta dei Monti Lattari. Da questo oratorio, nato probabilmente come cenobio benedettino, si è consolidato e diffuso il culto micaelico tanto che il Faito divenne uno dei più importanti luoghi europei consacrati all’ “Arcangelo dei Pellegrini” facendo come trait d’union tra il santuario di Mont San Michel in Francia e il Santuario di San Michele nel Gargano.
La storia del Faito riecheggia forte nella mia mente mentre corro, il mettermi in sintonia spirituale con le vicende di vita dei Santi patroni di Castellammare e di Sorrento e dei numerosi pellegrini devoti al culto di San Michele, mi infonde energia e una forza che da sola non avrei mai avuto.
L’arrivo è al Parco Oceano Verde nei pressi del Campo Sportivo. Qui mi rifocillo al ristoro riccamente preparato dall’organizzazione e subito va via la fatica di una corsa davvero estenuante, ma impreziosita di magiche sensazioni, ispirata dalla presenza invisibile e aleggiante dell’Arcangelo Michele che ha scelto il nostro Faito come la sua dimora terrena.
Una corsa davvero speciale che al di là di ogni forma di competizione ed agonismo ha arricchito il mio essere di forti emozioni e di vibrazioni che hanno toccato le note più profonde del mio animo.
Ripeterò sicuramente questa esperienza per provare l’emozione di librarmi tra roccia e cielo su un paesaggio degno di essere considerato un Paradiso Terrestre.

Anna Raffone

Anna Raffone

 

Catello Gargiulo: l’uomo, l’atleta, l’amico

a cura di Antonio Cimmino

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Catello Gargiulo dai più viene ricordato come atleta, ma era qualcosa di più per i suoi vecchi amici, quelli del cantiere e della sua giovinezza.
Conobbi Catello nel 1969 quando entrai a lavorare nel cantiere navale, a lui mi legava anche la conoscenza di suo zio Lorenzo (il padre del pittore Antonio Gargiulo, suo cugino).
Quando ero bambino, Lorenzo (scanzanese come me, ed amico di mio padre), mi diede da imparare a memoria la poesia “La vispa Teresa” (ed io dopo un giorno, tutto contento, gliela recitai). Lorenzo, oltre ad essere un operaio del cantiere navale, era anche un buon poeta.
Legami antichi, quindi, mi legarono a Catello quando ci conoscemmo in cantiere. Insieme partecipammo a tutti gli scioperi durante il cd. autunno caldo. Fraternamente ci sfottevamo perché lui era comunista ed mio socialista, ma insieme partecipavamo a tutte le manifestazioni sia a Napoli che a Roma. L’amicizia andava oltre il lavoro. La sera uscivamo insieme e consumavamo la villa comunale per agganciare qualche ragazza. Durante le ferie estive tutti al mare al Famous Beach. Catello, poi, comprò una Fiat 500 color rossa, una macchinetta con la quale andavamo dappertutto (senza però combinare nulla). Un amico comune era Giovanni Testa (già amico e collega di Catello al cantiere)
Entrambi vennero assunti una diecina di anni prima di me, perché più grandi di età (io sono del 1947). Giovanni (anch’egli amico fraterno di Catello), a causa di una banale operazione alle tonsille negli anni ’60, si buscò una paralisi al lato destro del corpo e Catello, grazie al suo impegno, anche in questa circostanza seppe aiutare Giovanni, con consigli pratici per riacquistare in parte la funzionalità sia del braccio che della gamba. Ora Giovanni vive a Nettuno e quando lo sento telefonicamente, ricordiamo sempre ben volentieri i vecchi tempi ed i nostri trascorsi con Catello. Era il mese di febbraio del 1971 e Catello mi invitò ad una festa da ballo in casa di suoi conoscenti a Via Simmaco vicino alla stazione Circumvesuviana di Via Nocera. Era la settimana prima di carnevale e, a quei tempi, le feste da ballo si facevano in casa con i giradischi. Ci presentammo con la 500 rossa fiammante. Io fumavo la pipa, abitudine che avevo preso durante il servizio militare in Marina. Entrambi inghirlandati ci presentammo a casa di questi suoi amici, nella quale erano presenti anche dei dipendenti del vicino ospedale San Leonardo. Fu lì che conobbi la mia attuale moglie. Negli anni a seguire, durante qualche litigio, non poche volte, per scherzo, le ho detto: “E’ tutta colpa di Catello Gargiulo che quella sera mi ha portato a quella festa!”. Anche la mia fidanzata entrò a far parte della comitiva di Catello, lui era l’anello di congiunzione di tanti cari amici, tra di essi c’era: Alfredo Montanarella, un certo Franco che noi chiamavano Françoise, che ora abita in penisola sorrentina.
Con la comitiva andavamo a fare gite specialmente a “pasquetta” e in particolare ne ricordo anche una trascorsa nelle montagne di Lettere. Successivamente ci “convertimmo” al footing e Catello, molto più bravo di me (il fisico asciutto glielo permetteva) divenne il mio allenatore. Io lo chiamavo “maestro” per distinguerlo da un altro amico Franco Di Somma più scarso, ma volenteroso che io chiamavo “maestrino”. Io ero e sono pigro e non riuscivo a portare il passo di Catello nemmeno negli allenamenti. Il sabato mattina partivamo dalla villa comunale ed arrivavamo fino a Meta e poi di ritorno, a Pozzano un brevissimo bagno in mare per poi far rientro a casa!

Catello Gargiulo ed Antonio Cimmino: atleti A.N.M.I.

Catello Gargiulo ed Antonio Cimmino: atleti A.N.M.I.

A cavallo del 1978 entrai nell’Associazione Marinai d’Italia, ed avemmo la brillante idea di fondare la squadra podistica A.N.M.I. di cui l’esperto Catello divenne allenatore. Moltissime volte siamo andati a fare corse dilettantistiche nel casertano. Negli anni a seguire si associarono a noi altri appassionati di footing (molti di essi, erano operai e impiegati della Navalmeccanica), tra loro Gigino Nastro e noi schiappe rimanevamo sempre indietro. Dopo l’esperienza A.N.M.I. Catello creò, sempre con amici e colleghi del cantiere navale, una squadra intitolata a “Raffaele Viviani”. Catello non trascurava il benché minimo particolare e già allora (curava con attenzione la salute dei “suoi” atleti), infatti, non di rado ci portava a visita da un medico cardiologo di Pompei di Via Lepanto di cui non ricordo il nome, che ci sottoponeva alla canonica prova da sforzo atletico.
Io appesi le scarpe al chiodo, ma Catello continuò con perseveranza raggiungendo risultati sempre più soddisfacenti. Successivamente Catello fece molte trasferte a Monfalcone e per tal motivo non ci frequentammo più come prima. L’amicizia però, restò viva e quando ci vedevamo, era sempre una festa. Dopo che Catello si trasferì da via Surripa a Poggiomarino, i nostri incontri divennero sempre più rari. Lui però per i suoi allenamenti non smise di venire a Castellammare e sovente, quando ci incontravamo, mi incitava a riprendere gli allenamenti ed esortandomi con il suo saper fare, mi diceva sempre: “Se torni ad allenarti, vengo a chiamarti io la mattina!”. Ma a nulla son valse le sue amichevoli premure, ormai mi ero impigrito. Questi i ricordi del mio amico fraterno Catello.

28 gennaio 2012: la testimonianza dell’amico Domenico Cuomo
Innanzitutto mi corre l’obbligo di ringraziare Antonio Cimmino che con questo suo scritto mi ha dato la possibilità di parlare di Catello, mio caro amico e grande uomo di sport e di vita.
Mi chiamo Domenico Cuomo, sono uno stabiese nativo di Scanzano, lì abitavo al vico Tre Case (una traversa di via Partoria), la stessa strada di appartenenza di Catello Gargiulo. Noi eravamo quasi coetanei, lui era del 1942 e io del 1944, da ragazzi ci frequentavamo; perché a entrambi piaceva leggere i fumetti (Tex, Blek macigno, Zagor, Kinowa, capitan Mike, l’uomo mascherato, ecc. ecc.) e spesso dopo averli letti, ce li scambiavamo da buoni amici. Col tempo ci siamo persi di vista, perché lui andò ad abitare al viale Terme (proprio nella curva che da Scanzano porta a Gragnano). Ci siamo rivisti molto tempo dopo nel 1961, quando anch’io venni assunto nell’allora Navalmeccanica, come elettricista di bordo; non vi dico la mia sorpresa quando vidi che c’era anche il mio amico Catello Gargiulo, che lavorava in quel reparto. Da quel momento in poi ci vedemmo tutti i giorni, e spesso lavoravamo assieme. Con noi c’era anche Giovanni Testa e Giacomo Troiano, un gruppo che ben presto diventò molto affiatato. Diversi anni dopo Catello subì un delicato intervento chirurgico allo stomaco; rientrato a lavorare regolarmente, iniziò una dieta alimentare tutta particolare (perché non riusciva a digerire il cibo), non vedendolo più in mensa gli chiesi quindi come sarebbe riuscito ad andare avanti senza mangiare e gli chiesi: “E adesso come fai?”. Lui con il suo solito fare tranquillo, sdrammatizzò con la seguente risposta: “Mangio qualche tarallo o due fette biscottate, cosi riesco a digerire meglio!”. Trascorso qualche anno, Catello iniziò a praticare il footing. Era abbastanza assiduo, la sera usciva da lavoro, e con altri amici andava nel bosco di Quisisana ad allenarsi. Avendo saputo di questo suo hobby, un giorno gli dissi: “Come fai a lavorare e ad allenarti, non ti stanchi?” Lui senza scomporsi, mi rispose: “Io da quando pratico il footing mi sento molto meglio, riesco a mangiare di tutto, e riesco anche a digerire, anzi, lo consiglio anche a te, perché lo sport fa bene alla salute!”. Non molto tempo dopo, convinse anche me a praticare il footing. Di sera all’uscita dal cantiere invece di andare a casa, andavamo sui boschi di Quisisana, per allenarci, lì un gruppetto di una decina di noi con Catello in testa, correvamo su per gli stradoni alberati arrivando fino a monte Coppola e ritorno; poi terminati gli allenamenti ,raggiungevamo casa, stanchi e soddisfatti. La piacevole routine iniziò ad entrare di fatto nella nostra vita quotidiana e non di rado, la domenica ci è capitato di andare, tutti assieme a Caserta per fare i nostri “bravi” 21 o 32 km, gare nelle quali facevamo la nostra bella figura con lusinghieri piazzamenti. Catello, amico, compagno di lavoro ed allenatore (dall’alto della sua esperienza) ci dava sempre buoni consigli su come correre. A tal proposito ricordo queste sue parole, che a molti degli sportivi supertecnologici di oggi, di certo possono strappare un sorriso, ma quelli erano altri tempi e prego un po’ tutti di tenerne conto, ecco ciò che mi consigliò: “Se devi fare 10 km, devi essere più veloce con una “falcata” più lunga, se devi fare 21 km, devi avere una falcata media, se invece devi fare una maratona, devi portare un passo breve e meno veloce, perché altrimenti, non arrivi al traguardo!”. Sagge parole le sue, sempre semplici e concrete! Personalmente ho sempre seguito questi suoi consigli e a dire il vero mi sono sempre serviti, e per tale ragione non finirò mai di ringraziarlo. Concludo questo mio breve ricordo di Catello, con un divertente aneddoto che nemmeno a dirlo vide coinvolto proprio lui, ecco i fatti: “Un giorno nell’infermeria del cantiere a tutti gli operai vennero fatte le visite di routine, in particolare in quella occasione ci fu chiesta una visita cardiologica ed un elettrocardiogramma, quando arrivò il turno di Catello, l’infermiere che gli fece la visita, diede uno sguardo al tracciato prodotto dalla macchina e disse: “Si vede che ho sbagliato!? Attenda un attimo, l’esame va rifatto, appallottolò il grafico e riprese con una nuova misurazione, fatto ciò, prendendo visione del nuovo tracciato, scosse la testa e di tutta fretta andò nello studio del dottor Franco Faella, esclamando con tono allarmato: “Dottore, qui c’è un operaio più morto che vivo… gli ho fatto due volte il controllo e risultano sempre 44 battiti… tu che dici? Rispose il dottore, poi insieme andarono da Catello al quale chiese: “Tu pratichi qualche sport? Catello rispose si, pratico footing da 10 anni. Al che con tono sicuro, ma questa volta rivolgendosi all’infermiere, disse: “Altro che morto, vorrei avere io il cuore di questo operaio!”.

Anna Di Palma e la Fiaccola olimpica

a cura di Maurizio Cuomo

Si ringrazia la Marathon Club Stabia, nella persona del sig. Domenico Cuomo per aver gentilmente concesso la pubblicazione dell’attestato di partecipazione, rilasciato dal Comitato Olimpico all’atleta stabiese Anna Di Palma, quale portatrice della “fiaccola olimpica”, in rappresentanza dell’Italia, in occasione dei XVII Giochi Olimpici Invernali di Lillehammer (Norvegia).

Anna Di Palma e la Fiaccola olimpica

Anna Di Palma e la Fiaccola olimpica

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Traduzione del testo (in calce all’attestato):

( Staffetta della fiamma olimpica da Morgedal a Lillehammer in occasione dei XVII Giochi Olimpici Invernali di Lillehammer. Anno 1994 – Norvegia ).

“Anna Di Palma ha partecipato alla staffetta della torcia e ha svolto la missione portando onorevolmente la fiamma olimpica allo stadio durante il suo viaggio da Morgedal fino a Lillehammer per l’apertura dei XVII Giochi Olimpici Invernali 1994. Ringraziamo per il grande sforzo profuso con l’augurio di una buona olimpiade”.

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