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A Castiellammare nuje vulimme jastemmà!

Cari amici del sito, complimenti per le ultime modifiche, che lo renderanno ancora più bello, di quella bellezza che solo noi stabiesi, gente onesta, perbene e umile sappiamo apprezzare! Scrivo per condividere con voi una storia del mio passato.

Un giorno di sabato scesi per strada con i miei amici Vecienzo ‘o fuocaracchio (così soprannominato per l’ustione da lui subita una sera dell’Immacolata) e Alfredo ‘o magnacunfiette (così detto per la sua propensione ad andare ai matrimoni senza essere stato invitato).

Bar Spagnuolo

Bar Spagnuolo

Mentre stavamo bevendo un caffè da Spagnuolo venimmo avvicinati da un nostro coetaneo che si chiamava Giuvanno ‘a jastemma (così detto perché bestemmiava in continuazione, anche in discorsi religiosi).
Alla quarta bestemmia, in pochi minuti, una signora anziana che era presente ci disse: “Guagliù, basta cu’ ‘sti jastemme!”.  Continua a leggere

Fratièlle e surelle

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Fratièlle e surelle

Fratièlle e surelle

A volte, quando si è in un particolare stato d’animo, capita che un fatto insignificante; la vista di un oggetto; un paesaggio al quale si è fatto poco caso nel passato; il colore di una foglia; una qualsiasi cosa che normalmente passa inosservata e non ci dice nulla, ebbene in quel particolare momento nella nostra mente si risvegliano ricordi accantonati in un ripostiglio del nostro cervello. Gli anni corrono all’indietro (e nel mio caso molto all’indietro, diciamo negli anni 1929/1930) e ci fanno rivivere momenti ed emozioni di quel tempo. Nei giorni scorsi, in una uggiosa giornata d’inizio autunno, passeggiavo ai margini di un bosco di castagni. Ogni tanto calpestavo dei ricci prematuramente caduti dalle piante e le foglie color bronzo che facevano da tappeto sotto le mie scarpe. Sarà stato il silenzio del luogo, l’atmosfera particolare che mi circondava ed ecco che alla mia mente è ritornato il ricordo delle castagne lesse “allesse”. Questo ricordo ne ha richiamato conseguentemente un altro: le feste per onorare la Immacolata Concezione. Come da vecchia tradizione di Castellammare, all’alba di ognuno di quei 12 giorni che mancavano all’8 dicembre, un devoto della Madonna percorreva le strade del rione e con un canto che più che un invito era quasi una invocazione sollecitava i fedeli alla prima messa o alla preghiera. Di questa bella e toccante tradizione potrebbe essere più esauriente e preciso l’amico Giuseppe Zingone. In quelle sere fredde e umide andavo a letto con una certa allerezza perché sapevo che il mattino dopo, al risveglio dovuto a questa bella e armoniosa voce, mi aspettava un bel piatto caldo di allesse. Mia mamma, santa donna, si premurava di farle cuocere la sera prima, per poi riscaldarle al mattino dopo, al momento dovuto. Questa contentezza era condivisa con mio fratello Andrea che dormiva nel mio stesso lettino. In quella casa dove abitavamo allora (sotto l’arco della Pace, dove il sole non entrava mai) d’inverno, come detto, ci facevano compagnia il freddo e l’umidità. Prima di coricarci nostra madre metteva fra le lenzuola gelide una bottiglia di acqua calda, poi sopra le coperte stendeva anche dei cappotti. Mio padre, teneramente, ogni tanto veniva a vedere se eravamo ben coperti e, se del caso, a rimboccarci le coperte fin sotto il mento. Ma ce ne volevano di bottiglie e cappotti per farci prendere calimma (calore). Cosi, raggomitolati e stretti l’uno vicino all’altro, ci illudevamo di non disperdere quel poco di caldo che avevamo accumulato la sera prima stando chini sul vrasiere (braciere) , dove la carbonella bruciava lentamente. E così, tra la veglia e il sonno ci coglieva quel dolce canto che sentivamo scendere dalla “Caperrina”. Prima flebilmente, poi sempre più chiara la voce di questo fedele si faceva largo nel magico silenzio della notte. Che emozione quel canto che si avvicinava pian piano! A volte questa voce taceva per qualche breve momento e noi con ansia attendevamo la ripresa di quella dolce nenia. Man mano però che si avvicinava distinguevamo sempre meglio le parole di questa invocazione. Dopo più di 75 anni, e se la memoria del cuore più che della mente non mi tradisce, la frase che io ricordo era: “Fratièlle e surelle ‘o rosario a Madonna che bello nomme tene a Madonna”. Ma quella voce solitaria, che nel buio e nel silenzio della notte si avvicinava poco a poco, rendeva magica e misteriosa quella atmosfera. Quella voce poi si allontanava lentamente percorrendo le altre vie del rione fino a sparire del tutto. A sostituirla i rintocchi delle campane che invitavano i fedeli alla prima messa. Qui finiva la poesia e la magia; ma per noi bambini cominciava la nostra festa: le castagne bollite. Mia mamma ce le portava nel lettino in un piatto bello caldo. Queste allesse oltre a placare un poco l’appetito che non mancava mai, col loro calore ci aggraziavano le mani che appena emergevano dalle coperte diventavano subito fredde. Per dare l’idea di come soffrivamo il freddo allora, noi piccoli andavamo a dormire con i piedi ancora avvolti nei calzini, che certamente non erano di lana! La realtà della vita, assieme alla perdita del candore della fanciullezza, non mi hanno più ridato quella atmosfera magica e misteriosa. Vive soltanto nel ricordo, ed io ringrazio il buon Dio che non l’ho cancellata dalla mia mente e dal mio cuore. Anche perché a questi ricordi si accompagna la figura premurosa dei miei genitori che non sapevano più cosa fare per non farci soffrire il freddo.

‘E fuocaracchi

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Il fuocaracchio stabiese

Il fuocaracchio stabiese

Caro Maurizio, torno sulla controversa origine dei tradizionali “fuocaracchi” (rif.: “Fuocaracchi stabiesi”), per riconfermare la mia testimonianza, con l’aggiunta di ulteriori considerazioni. Non ricordo che negli 8/10 anni precedenti l’inizio della seconda guerra mondiale (1938/1945) a Castellammare si accendessero tali falò. In quell’epoca, come tu ricordi, in Italia imperava il Regime Fascista, in quel periodo, a parte qualche iniziativa positiva (il sabato fascista, che dimezzava le ore di lavoro in questo giorno; la befana fascista, che il 6 gennaio, donava ai bambini qualche giocattolo o qualche dolciume), quasi tutti gli ordini o disposizioni erano di carattere proibitivo. Per esempio, dopo una certa età ci si doveva sposare. Chi non lo faceva doveva pagare una tassa: “la tassa sul celibato”. Oggi questa legge può sembrare assurda, eppure esisteva. Ma il regime non emanava soltanto leggi e ordini scritti: molte volte erano anche soltanto verbali. Bastava che al “federale fascista” del luogo venisse raccomandato di vietare una data cosa che la voce veniva sparsa e quella tal cosa non si faceva. L’obbedienza dei cittadini a questi ordini era totale. I pochissimi che vi si opponevano erano qualificati come “antifascisti”, ed erano ben conosciuti dalla “milizia fascista” e dalla Polizia. Per loro la vita diventava dura. Quindi per ritornare alla questione che ha originato questa controversia, può darsi che verbalmente fossero state date disposizioni ai federali per vietare i “fuocaracchi”. Le ragioni di tali divieti avrebbero potuto essere le più varie, per esempio evitare infortuni ai cittadini; oppure per non dare adito ai suddetti “antifascisti”, consapevoli o meno, di approfittare di queste occasioni e ritrovarsi per criticare il fascismo. Insomma, i motivi avrebbero potuto essere tanti.

Naturalmente le ragioni suddette sono soltanto ipotesi per spiegare il perché io, in quegli anni che vanno dal 1930 al 1938 non ho mai visto o sentito parlare di questi “fuocaracchi”. Naturalmente le suddette considerazioni non vogliono minimamente mettere in dubbio le affermazioni ed i ricordi del buon signor Alminni, al quale mando in anticipo i miei auguri di buon Natale.
Queste mie osservazioni mi hanno portato a descrivere, anche se sommariamente, il clima politico che si respirava allora e se questa mia passione per la Storia ha urtato la suscettibilità di qualcuno gli chiedo scusa. Ma quella era la realtà dell’epoca. Auguri e buon Natale a te e a tutti i lettori di Libero Ricercatore.

Gigi Nocera.

Tiempe belle 'e 'na vota

Tiempe belle ‘e ‘na vota

( rubrica a cura di Maurizio Cuomo )

Tiempe belle 'e 'na vota

Tiempe belle ‘e ‘na vota

“Tiempe belle ‘e ‘na vota, tiempe belle addó’ state? Vuje nce avite lassate, ma pecché nun turnate?”, parafrasando per intero il ritornello di una vecchia canzone di Aniello Califano, rimettiamo all’attenzione degli affezionati lettori la presente rubrica, in cui vengono raccolti, numerosi documenti che testimoniano in modo semplice ed affascinante un passato stabiese non molto remoto. Un passato che però sembra essere distante anni luce dai giorni nostri e dal nostro moderno modo di vivere (o sopravvivere) in una società, sempre più frenetica e opprimente, che impone un modus vivendi affannoso e alla continua ricerca della modernità o di una acclamata effimera moda del momento. Al fine di salvaguardare, in una vera e propria “banca del ricordo”, il passato tracciato dai nostri padri (il cui solco, purtroppo, per i motivi di cui sopra, sembra svanire e perdersi come le tracce sulla sabbia di un bagnasciuga, battuto dalle onde di un incontrollabile burrascoso progresso), verranno qui raccolte e proposte delle rare immagini, locandine d’epoca e quant’altro possa testimoniare l’indiscutibile, fervente attività economica svolta a Castellammare di Stabia nei bei tempi che furono…

Maurizio Cuomo

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Biscotti Jolanda: pubblicità d’inizio Novecento Continua a leggere

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Tiempe belle ‘e ‘na vota

“Tiempe belle ‘e ‘na vota, tiempe belle addó’ state? Vuje nce avite lassate, ma pecché nun turnate?”, parafrasando per intero il ritornello di una vecchia canzone di Aniello Califano, rimettiamo all’attenzione degli affezionati lettori la presente rubrica in cui vengono raccolti, numerosi documenti che testimoniano in modo semplice ed affascinante un passato stabiese non molto remoto. Un passato che sembra essere distante anni luce dai giorni nostri e dal nostro moderno modo di vivere (o sopravvivere) in una società sempre più frenetica e opprimente, che impone un modus vivendi affannoso e alla continua ricerca della modernità o di una acclamata effimera moda del momento. Al fine di salvaguardare, in una vera e propria “banca del ricordo”, il passato tracciato dai nostri padri (il cui solco, purtroppo, per i motivi di cui sopra, sembra svanire e perdersi come le tracce sulla sabbia di un bagnasciuga battuto dalle onde di un incontrollabile burrascoso progresso), verranno qui raccolte e proposte delle rare immagini, locandine d’epoca e quant’altro possa testimoniare l’indiscutibile e fervente attività economica svolta a Castellammare di Stabia, nei bei tempi che furono…

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