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Tradizioni stabiesi

In questa rubrica sono ricordate le tradizioni e altre usanze tipicamente stabiesi.

Tradizioni stabiesi

Tradizioni stabiesi


Bottiglie di pomodoro

Cantilene e filastrocche…

Canzone de lo Capo d’Anno

Fratièlle e surelle (la voce votiva)

Fratièlle e surelle (voto alla Madonna)

Il “fuocaracchio” stabiese (anno 2009)

Il “fuocaracchio” stabiese (anno 2010)

Il “fuocaracchio” stabiese (anno 2011)

Il Munaciello a Castellammare

Il Presepe artigianale stabiese

Il Rosario della “Dodicina”

Il “torroncino dei morti”

La cantata dei pastori

La Citizen Band

La cura delle acque di Castellammare

La tombola stabiese

Modi di dire

Nomi dialettali

‘O cunto d”o cecere

‘O pazzariello

‘O Tressette

Pesci, molluschi e crostacei

Piastrelle artistiche stabiesi

Preghiere stabiane

Presepi casalinghi stabiesi

Proverbi stabiesi

Soprannomi stabiesi

Specialità stabiesi

Toponomastica stabiese

Tortano senza sale, il pane della Pasqua stabiese

Vocabolario dialettale

Pillole di cultura: A rrassu sia

L’espressione “a rrassu sia” equivalente a: “Nun sia mai”; “Nun vulesse mai u Cielo”; “Sciò là, manca a nu cane”; “Sia lontano da me”, è usata da pochi: o da quelli di una certa età, o da chi ha mantenuto più pura l’originaria lingua napoletana (isola linguistica). Abituati come siamo ad esprimere giudizi morali, spesso diciamo con sufficienza “i popolani”.
Che, invece, è gente sana e genuina. In attesa di una risposta migliore, che sollecito anche ai miei amici liberiricercatori, io tento questa soluzione. L’espressione mi pare indicare la presenza di termini tedeschi nella lingua napoletana (da qui sono passati anche gli Svevi, insieme ad altri popoli di origine germanica. E forse si stava anche meglio). L’espressione dovrebbe essere “raus sia” (Fuori ! – Via! – Lontano da me! + il cogiuntivo italiano “sia”).
Se non è giusta questa, allora proviamo con quest’altra. “U prutusino” (latino petroselìnum) è più vicino al tedesco “Petersilie” che non all’italiano “prezzemolo”. Come mai?


Commento del sig. Vincenzo Iovino: salve, a riguardo dell’etimologia di ‘Arrassusia’, mi piacerebbe ricordare che è composta da arrass + sia.
Ricordo che i ‘vecchi antichi’ della zona di mia nonna usavano esclamare ‘arrass allà’ per allontanare cani. E infatti leggo su altri siti che l’etimologia della parola viene fatta derivare dall’arabo arrassa=lontano. Quindi penso che l’origine più probabile sia quest’ultima.

( due esempi online: lellobrak.blogspot.itidentitainsorgenti.com )

cosa ne pensi?

Balocchi e Profumi

Tiempe belle ‘e ‘na vota

“Tiempe belle ‘e ‘na vota, tiempe belle addó’ state? Vuje nce avite lassate, ma pecché nun turnate?”, parafrasando per intero il ritornello di una vecchia canzone di Aniello Califano, rimettiamo all’attenzione degli affezionati lettori la presente rubrica in cui vengono raccolti, numerosi documenti che testimoniano in modo semplice ed affascinante un passato stabiese non molto remoto. Un passato che sembra essere distante anni luce dai giorni nostri e dal nostro moderno modo di vivere (o sopravvivere) in una società sempre più frenetica e opprimente, che impone un modus vivendi affannoso e alla continua ricerca della modernità o di una acclamata effimera moda del momento. Al fine di salvaguardare, in una vera e propria “banca del ricordo”, il passato tracciato dai nostri padri (il cui solco, purtroppo, per i motivi di cui sopra, sembra svanire e perdersi come le tracce sulla sabbia di un bagnasciuga battuto dalle onde di un incontrollabile burrascoso progresso), verranno qui raccolte e proposte delle rare immagini, locandine d’epoca e quant’altro possa testimoniare l’indiscutibile e fervente attività economica svolta a Castellammare di Stabia, nei bei tempi che furono…

Maurizio Cuomo

Balocchi e Profumi (anno 1953)

Balocchi e Profumi (anno 1953)

Locandina: Balocchi e Profumi  (anno 1953)
(collezione privata)

Fuocaracchi o palio dei falò?

articolo di Maurizio Cuomo

Anche quest’anno (anno 2011) per questioni di incolumità pubblica, l’Amministrazione locale, ha proibito la tradizionale pratica dei “fuocaracchi” rionali ed ha organizzato il cosiddetto “Palio dei falò”. L’evento “controllato e sicuro” (quest’anno alla sua seconda edizione) si è svolto sullo spazioso arenile, per dare alla cittadinanza una alternativa (salva tradizione). Tale iniziativa, però, seppur di effetto e organizzata con i migliori propositi, quest’anno ha un po’ diviso l’opinione pubblica, lasciando l’amaro in bocca a chi ama e tiene ad una tradizione volta soprattutto al raccoglimento.

Palio dei falò 2011 (foto Martina Cesarano)

Palio dei falò 2011 (foto Martina Cesarano)

I commenti (a caldo):

Erano 11 anni che non assistevo ad un “fuocaracchio”, e devo dire che l’idea di condividerlo in un luogo comune insieme a tante altre persone non mi dispiace affatto. Ovviamente a questo si potrebbe lasciare l’opportunità a di accendere altri fuochi di modeste dimensioni nei rioni stabiesi. L’Immacolata é in assoluto l’evento stabiese più affascinante che abbia mai vissuto (Nicola Pede).

Purtroppo, un malanno di stagione non mi ha permesso di assistere alla manifestazione di quest’anno. Quella dello scorso anno non mi piacque granché per i seguenti motivi: 1- non credo che le Amministrazioni locali debbano curare le tradizioni, esse sono trasmissioni di cultura che devono essere avvertite dai cittadini e non appuntamenti istituzionali; 2- per il dubbio che, l’arenile fosse forzatamente allontanato dalla sua vocazione naturale.
Stando ai commenti che leggo, sembra che le mie perplessità di ieri, siano ritornate più vive ancora. Lasciamo ad ogni quartiere la libertà di coltivare la tradizione come si vuole, dando solo “supporto” per la sicurezza, ed intanto in una ristrutturata Cassa Armonica, facciamo un bel concerto dell’Immacolata, con una grande Banda Sinfonica (Corrado di Martino).

L’anno scorso è stato molto meglio, c’era molta più sicurezza e legalità. Quest’anno, sono rimasto molto demoralizzato: motorini sull’arenile, botti, giocolieri, mangiafuoco. Una vera pagliacciata! (G. Cesarano).

I fuochi mi sono sembrati meglio dello scorso anno ( 4 fuochi grandi, mentre l’anno scorso ne avevano allestito due o tre piccoli). Nell’insieme non mi è piaciuto da morire, solo che dopo circa 30 anni che non sono mai potuta uscire di casa, perchè nel mio quartiere (la caperrina) ci chiudevano dentro, vedere i fuochi senza pericolo è sicuramente qualcosa di bello (Francesca Tramparulo).

Accentrando la tradizione in un unico posto (sull’arenile di Castellammare), viene a crearsi una discriminante, purtroppo, poco considerata dagli organizzatori: in primis la cosiddetta “notte bianca”, così tanto decantata, risulta ad appannaggio dei soli commercianti del centro che hanno un punto vendita a ridosso del corso Garibaldi o di via Bonito (ai negozianti di periferia, per la poca fortunata ubicazione, conviene osservare la totale chiusura); seconda considerazione, non meno importante della precedente, che tra l’altro mi fa riflettere molto è la seguente: nella stragrande maggioranza i fuocaracchi del “palio”, oggi, risultano godibili solo ai giovani… di contro, nel concreto, risultano preclusi agli anziani che come buona tradizione vuole, prima trovavano i fuochi a pochi passi dalle loro case. Oggi purtroppo ci si dimentica che in altre zone di Castellammare (si legga: Scanzano, San Marco, Cantieri C.M.I., Ponte Persica, Annunziatella, Pozzano, Acqua della Madonna, ecc.) vivono tanti “vecchiarelli” che di certo non hanno la forza di attendere (in auto) 1-2 ore di congestionato traffico, per raggiungere l’arenile. Pensiamo ad una tradizione “civile” anche per loro!!! (Maurizio Cuomo).

liberoricercatore.it, propone!

A nostro avviso è giusta la messa in sicurezza, che approviamo senza batter ciglio, ma allo stesso tempo ritenendo che sia altrettanto giusto, sottoponiamo (per il secondo anno consecutivo) a chi ne ha la competenza, di studiare un modo per restituire ai rioni la legittima tradizione. Che lo si voglia o no, il “fuocaracchio dell’Immacolata” è nel DNA e nella cultura di ogni cittadino stabiese (la mia generazione, quelle precedenti e quelle che sono venute dopo, sono cresciute tutte con la pratica dei falò). La sicurezza è giusta e sacrosanta, ma è altrettanto vero che le tradizioni vanno preservate in tutte le sfaccettature e quella dei “fuocaracchi” di Castellammare affonda le sue originarie radici soprattutto nella condivisione e nel raccoglimento. Per attuare ciò in modo organizzato e civile (il tutto fatto in economia e senza troppi sforzi), l’Amministrazione comunale per le future ricorrenze, potrebbe fornire ai vari comitati parrocchiali, un piccolo braciere e della legna da ardere (ad esempio la legna proveniente dall’annuale potatura del verde pubblico cittadino, preventivamente accantonata e tagliata a misura, che così azzererebbe anche il passivo per l’eventuale smaltimento in discarica), una soluzione semplice, che se organizzata bene, potrebbe mettere tutti d’accordo e responsabilizzare la comunità stabiese, che in tal modo potrebbe riappropriarsi della vera tradizione del “fuocaracchio”. Così facendo riteniamo che si potrebbe ottenere la tanto auspicata “notte bianca” cittadina, che non accentra e congestiona il traffico in una unica zona (con i tanti problemi di sorta che ne derivano), ma coinvolge un po’ tutti i quartieri cittadini (dando: ai negozianti di periferia, la possibilità di usufruire di un possibile beneficio e a tutti i cittadini una più facile e diretta fruibilità dell’evento).

 

La tradizione del “fuocaracchio” stabiese
( brevi cenni e possibili origini a cura di Maurizio Cuomo)

Nei giorni che precedono le festività natalizie la città di Castellammare di Stabia è scossa da un sussulto di notevole devozione, in tale periodo in ogni rione fremono i preparativi per onorare al meglio la solenne ricorrenza del Natale e ancor prima quella dell’Immacolata Concezione. A Castellammare la ricorrenza dell’otto dicembre è particolarmente sentita perché due eventi, tipici della tradizione popolare locale, ne delineano i pittoreschi contorni che si fondono tra folklore e religione: la voce di “Fratièlle e surélle” e i suggestivi “fuocaracchi”. Due pratiche antiche e suggestive, alle quali ancor oggi per fortuna è possibile assistere, che affondano saldamente le loro radici, nel credo religioso di alcuni stabiesi, che di esse ha fatto peculiarità fondamentale per il proprio cammino spirituale, in cui la devozione alla Madonna risulta essere la componente principale della vita. Il periodo culmina alla vigilia dell’Immacolata, quando per tradizione in ogni rione viene acceso un “fuocaracchio” (un grosso falò), intorno al quale si riuniscono i fedeli in attesa che alle prime ore dell’alba passi il cantore per annunciare l’ultima “voce” di “Fratièlle e surélle”. Le origini della tradizione del “fuocaracchio”, purtroppo sembra che non siano ben chiare, lo stabiese Ciro Alminni, per spiegare tali origini, nel libro “Antiche tradizioni stabiesi – Fratièlle e surélle” (anno 1999), riporta fedelmente così come dai suoi ricordi, una suggestiva storia raccontatagli dalla sua bisnonna Carolina (vissuta tra il 1800 e gli inizi del ‘900), in cui descrive il naufragio notturno di un peschereccio (paranziello) coinvolto in una violenta tempesta di mare e dell’unico superstite scampato alla tragedia, che in balia del mare, dopo ore di dura lotta tra le onde, mantenendosi a galla con un legno dell’imbarcazione, rimase miracolosamente illeso invocando la grazia della “Madonna”. Giunta ormai l’alba, e a mare acquietatosi, il pescatore, dolorante, stremato e infreddolito, raggiunse l’arenile stabiese adiacente alla cosiddetta “Banchina ‘e zì Catiello”, dove fu notato da alcune persone che si trovavano sul posto, che lo soccorsero accendendo un fuoco per riscaldare l’uomo. Il miracolato, riguadagnate un po’ delle sue forze, tra lo stupore degli astanti disse che era rimasto in vita perché salvato dell’Immacolata Concezione, che lo aveva accolto tra le sue braccia. Tale storia, se vera e non di fantasia, daterebbe quindi questa tradizione almeno alla fine ‘800. Volendo approfondire per verificare l’effettiva veridicità di questa tradizione prettamente stabiese, il nostro Gruppo di Ricerca, ha ben pensato di chiedere conferma a qualche stabiese ultraottantenne, che nel rilasciare intervista ha asserito che i fuochi dell’Immacolata ai loro tempi già esistevano, ma erano ben altra cosa, rispetto alla pericolosa pseudo-gara attuale, con la quale i rioni si contendono il primato nell’allestire il “fuocaracchio” più alto. Il fuoco a quei tempi era, invece, estremamente più raccolto e di modeste dimensioni, perché assolveva esclusivamente ad un compito prettamente propiziatorio. Nel raccogliere le testimonianze, si è anche constatato che i diversi racconti di vita vissuta concordavano per numerosi aspetti, tutti inerenti e riportanti alle modeste dimensioni dei falò. Il legname a quei tempi era un bene primario da non sprecare, perché usato in cucina (nei tempi in cui era in uso il focolare) e per il riscaldamento domestico, le modeste dimensioni dei falò erano quindi dovute al centellinare di questa preziosa risorsa, che nell’occasione era anche necessaria per riscaldare gli astanti in attesa dell’albeggiare. Una ulteriore conferma della preziosità del legname, è data dalla radicata usanza di allora, delle donne di famiglia di raccogliere a mattina inoltrata (al termine della funzione religiosa) la brace residua dei falò, quando ormai il fuoco aveva consumato le proprie energie, e la carbonella risultava utile a riempire il braciere di famiglia (‘a vrasera) per riscaldare gli umidi alloggi nella fredda giornata dell’Immacolata Concezione. Il folklore locale al servizio di un unico grande evento religioso, per dare anche ai giorni nostri una giusta continuazione ad una tradizione prettamente stabiese.

La cura delle acque di Castellammare

articolo di Maurizio Cuomo

Castellammare di Stabia, detta “Città delle acque” per il suo straordinario patrimonio idrologico, vanta nel suo bacino idrico, la presenza di ben 28 sorgenti di acque minerali differenti. La costante composizione fisico-chimica, che ha conferito ad ognuna di queste acque distinte proprietà terapeutiche e l’abbondante gittata delle fonti, consentono di eseguire cure idropiniche termali per svariati tipi di patologie.

Le Antiche Terme di Stabia

Le Antiche Terme di Stabia

Propongo la seguente tabella, come guida alle acque terapeutiche ancora in uso1


ACQUA ACIDULABicarbonato calcica ipotonica lievemente acidula. Azione digestiva, antinfiammatoria, diuretica. Indicata in tutte le forme legate a cattiva digestione, nelle gastriti iposecretive, nel diabete e nelle varie forme di renella.

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ACQUA FERRATABicarbonato carbogassosa contenente sali di ferro. Indicata nelle anemie primarie e secondarie e nelle convalescenze; nelle malattie debilitanti, nelle astenie muscolari e nervose; nei processi da cattiva digestione anche accompagnati da irritazione della mucosa gastrica; nei disturbi della sfera genitale femminile, nello stentato sviluppo nell’epoca della pubertà, nel linfatismo e nel rachitismo.

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ACQUA DELLA MADONNABicarbonato calcica ipotonica alcalina. Azione diuretica e dissolvente per i calcoli renali. Indicata nelle forme ascendenti delle vie urinarie, nella gotta, nella renella.

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ACQUA MAGNESIACA Clorurato sodica ipotonica. Indicata nelle coliti spastiche, specie se di origine nervosa, nelle discinesie del grosso intestino (colon irritabile) e della cistifellea, nelle gastriti catarrali croniche e nelle gastroduodeniti croniche.

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ACQUA MEDIAClorurato sodica ipotonica. Azione lassativa, diuretica e purificatrice su tutte le ghiandole e mucose dell’apparato digerente: specie sul fegato svolge un’azione disintossicante di lavaggio dell’organismo e antinfiammatoria sui dotti biliari provocando secrezione biliare e correggendo quindi la stitichezza. E’ indicata nei processi morbosi cronici delle colecisti con o senza calcoli; nei soggetti operati di colecisti, di appendice e sull’intestino. E’ buona regola farla precedere da qualche bicchiere di Stabia calda.

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ACQUA MURAGLIONEClorurato sodica ipertonica. Azione purgativa; usata nella stitichezza ostinata, nella ossaluria, nella uricemia, nel diabete mellito e nella gotta.

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ACQUA POZZILLOMedio minerale ipotonica clorurato sodica. Azione diuretica, lassativa, disintossicante, antidispeptica.

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ACQUA SAN VINCENZOClorurato sodica ipotonica. Azione blandamente lassativa, diuretica, antinfiammatoria. Indicata in tutti i processi cronici catarrali dell’intestino, dispepsie intestinali fermentative o non, coliti croniche, congestione emorroidaria.

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ACQUA SOLFUREARicca di idrogeno solforato. Purgativa con azione antifermentativa intestinale. E’ indicata nella stitichezza cronica, nelle malattie allergiche, in molte malattie della pelle (eczema cronico, psoriasi e prurito), obesità e diabete.

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ACQUA SOLFUREA FERRATABicarbonato carbogassosa contenente sali di ferro ed idrogeno solforato. Azione purgativa, ricostituente ed attivante il ricambio; indicata nella stitichezza abituale, nella gotta cronica e nella iperuricemia.

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ACQUA SOLFUREA CARBONICABicarbonato carbogassosa ricca di acido carbonico. Purgativa con azione antifermentativa intestinale; indicata nella stitichezza cronica in soggetti con ipertensione arteriosa: trova impiego nella ipercolesterolomia e nel diabete.

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ACQUA STABIAClorurato sodica ipertonica. Azione lassativa, da usarsi nella stitichezza abituale, nelle enterocoliti croniche non diarroiche, nella congestione emorroidaria, nella obesità e nella piccola insufficienza epatica.


P.S.: Le acque devono essere usate per bibita a digiuno in bicchieri da un quarto di litro nella dose di 2 – 8 bicchieri, impiegando per ogni bicchiere circa 15 minuti, con intervallo di cinque minuti tra un bicchiere e l’altro, sorseggiando e passeggiando.

Note:

  1. non avendo alcuna competenza in materia, tengo a sottolineare che la suddetta tabella e il sottostante consiglio sono tratti liberamente dall’opuscolo: “Castellammare di Stabia e le sue Terme”.