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Canzone de lo Capo d’Anno

Per il piacere di conoscere e per meglio comprendere le tradizioni locali, proponiamo la “Canzone de lo Capo d’Anno”, un’antica ballata tradizionale: il sacro e il profano che si fondono, narrato dai cantastorie popolani.

Maurizio Cuomo


La Canzone de lo Capodanno 
(nota descrittiva del prof. Luigi Casale)

La “Canzone de lo capodanno” è un lungo canto augurale: il genere letterario è “la ‘nferta” (l’offerta), che i musici portavano alle famiglie, nei giorni delle feste natalizie e di fine d’anno. Per la sua lunghezza appare quasi una sceneggiata. In alcuni centri della penisola sorrentina e della costiera amalfitana, in particolare a Maiori o a Piano di Sorrento, dove se ne attribuisce la paternità a un loro concittadino, è l’intera comunità locale a parteciparvi. Mentre nelle città più grandi generalmente la si canta in famiglia, nelle case. O anche nei cortili con la partecipazione delle famiglie del vicinato. 
Questa ‘nferta natalizia, nel testo tramandatoci dal Croce, è un componimento molto raffinato, ben strutturato, che, per scelta linguistica, e contenuti del tema, presuppone un autore acculturato, vigile, intelligente, del cui nome purtroppo si è perduta la memoria. Essa passa per anonima, perché anonima era la copia a stampa che veniva fatta circolare per Natale, e che, come tale, è stata trovata nella raccolta di cose semplici della biblioteca di Benedetto Croce tra testi ben più importanti. Meritevoli tuttavia di riguardo.
Con questo canto, nel chiedere l’offerta, gli “amici buontemponi” portano gli auguri per il nuovo anno a un destinatario di loro conoscenza del ceto sociale non meglio identificato. 
Il canto si apre con l’annuncio che si è giunti al termine dell’anno e bisogna perciò trascorrere la notte in allegria. Continua poi, per una settantina di strofe, toccando diversi punti: il mito, la storia, la realtà quotidiana di paese, il sentimento religioso, l’espressione degli auguri a tutte le professioni; e si conclude con l’intenzione della dedica e con la richiesta di un’offerta, insieme alla speranza di vedersi ancora l’anno prossimo in condizioni di maggior benessere morale e materiale (la sostanza degli auguri!). 
A leggerla oggi, la Canzone sembra composta da un fine osservatore dei tempi moderni, acuto e brillante al tempo stesso, brioso e caustico come deve essere un autore seriamente (e coscienziosamente) satirico. 

Pazzariello napoletano

Pazzariello napoletano

E concludo. La migliore offerta – insieme ai voti augurali – che l’estensore di queste note può donare ai suoi amici, anonimi lettori, è quella di porgere ad essi il testo della Canzone nella versione più diffusa, quella che ci è stata conservata dal Croce.
L’introduzione è un recitativo di due strofe di endecasillabi (ad eccezione del primo verso della seconda strofa che si presenta come un verso doppio, formato cioè da due settenari). 
Seguono 69 quartine (tre settenari, più un quinario). Il secondo e il terzo verso di ogni strofa rimano tra loro; l’ultimo rima col primo della strofa successiva, creando un concatenamento di tutto il canto. Durante l’esecuzione, divenuta classica, lo stesso richiamo dei due semicori alternati, ne sottolinea la unità compositiva. 
L’intonazione è data dal corifeo che imposta ogni strofa melodicamente, evidenziandone il tema musicale. Dopo una ripresa del primo semicoro (che ripete l’ultimo verso), i due gruppi, uniti riprendono i due ultimi versi della strofa.


 

Canzone de lo Capo d’Anno

Coro d’introduzione (parlato)

A. La bona notte e buon principio d’anno
A tutti sti signuri in compagnia !
Simmo venuti e tornarrammo ogni anno
Per farve chill’aurie che sapimmo.

B. Spilateve lli rrecchie, apritece lu core
La casa, la dispensa e la cantina
Ca cheste so ghiurnate de cuntiente
Se magna e beve e non se pensa a niente

– – –

Testo originale (cantato)

1. Aprimmo l’anno nuovo
Co tric-trac e botte
Passammo chesta notte
In allegria.

2. Nascette lu Messia
Avenne poveriello
No voje e n’aseniello
Pe vrasera. Continua a leggere

Concerto antico (marzo 1968)

Tiempe belle ‘e ‘na vota

“Tiempe belle ‘e ‘na vota, tiempe belle addó’ state? Vuje nce avite lassate, ma pecché nun turnate?”, parafrasando per intero il ritornello di una vecchia canzone di Aniello Califano, rimettiamo all’attenzione degli affezionati lettori la presente rubrica in cui vengono raccolti, numerosi documenti che testimoniano in modo semplice ed affascinante un passato stabiese non molto remoto. Un passato che sembra essere distante anni luce dai giorni nostri e dal nostro moderno modo di vivere (o sopravvivere) in una società sempre più frenetica e opprimente, che impone un modus vivendi affannoso e alla continua ricerca della modernità o di una acclamata effimera moda del momento. Al fine di salvaguardare, in una vera e propria “banca del ricordo”, il passato tracciato dai nostri padri (il cui solco, purtroppo, per i motivi di cui sopra, sembra svanire e perdersi come le tracce sulla sabbia di un bagnasciuga battuto dalle onde di un incontrollabile burrascoso progresso), verranno qui raccolte e proposte delle rare immagini, locandine d’epoca e quant’altro possa testimoniare l’indiscutibile e fervente attività economica svolta a Castellammare di Stabia, nei bei tempi che furono…

Maurizio Cuomo

Concerto antico (marzo 1968)

Concerto antico (marzo 1968)

Concerto antico (marzo 1968)

Concerto antico (marzo 1968)

Concerto antico (marzo 1968)

Concerto antico (marzo 1968)

Concentus Antiqui in onore degli Ufficiali di Sua Maestà Britannica
Castellammare di Stabia (marzo 1968)

( si ringrazia Antonio Cimmino per la gentile concessione )

Sant'Antonio Abate

Chi festeggia Sant’Antuono, tutto l’anno ‘o passa bbuono

articolo di Enzo Cesarano

Sant'Antonio Abate

Sant’Antonio Abate

L’iconografia tradizionale dipinge Sant’Antonio Abate circondato da donne seducenti e provocanti, oppure, come lo raffigura il pittore francese Paul Cézanne, da animali domestici come il maiale, di cui è il santo protettore.

Molte sono le leggende che ruotano attorno alla figura di S. Antonio Abate e al suo animaletto. La più diffusa è quella del santo che scende all’inferno, in compagnia del maialino, per rubare il fuoco al diavolo e donarlo agli uomini (come un novello Prometeo). Continua a leggere

Stagnaro (antichi mestieri)

Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo


‘o Stagnaro
( a cura di Gioacchino Ruocco )

Lo stagnino, noto nel nostro dialetto come ” ‘o stagnaro “, era un artigiano ambulante capace non solo di fare la stagnatura (ovvero quella particolare operazione mediante la quale la superficie interna dei recipienti di rame, veniva rivestiva di stagno), ma anche di vere e proprie riparazioni, quali: rappezzo di buchi, livellamento delle ammaccature e sostituzione o riattacco dei manici rotti ai contenitori.

stagnino

La figura dello stagnaro era presente un po’ in tutte le regioni d’Italia, ma è ormai un po’ di anni che non se ne vedono in giro. Il mestiere veniva esercitato solamente in alcuni momenti dell’anno, tenuto conto che si svolgeva sulla strada, sulle aie, nei portoni, delle vecchie costruzioni, in prossimità delle abitazioni dei committenti, dei proprietari dei recipienti, ma sempre all’aria aperta per allontanare da sé, il più possibile, le esalazioni del carbone, acceso per fornire la temperatura di fusione dello stagno, e le esalazioni dell’acido muriatico che è l’elemento indispensabile nel processo di stagnatura.
Quando si affacciava sul territorio, come ogni altro operatore ambulante, richiamava l’attenzione degli interessati facendo sentire la sua voce che annunciava appunto l’arrivo dello stagnaro.
Erano quasi sempre degli artigiani che, nei momenti in cui la richiesta di prestazioni calava nella zona di residenza, prendevano gli attrezzi necessari o il minimo indispensabile e si avventuravano sui territori vicini e, certe volte, anche all’estero, per procurarsi la propria sopravvivenza e quella della famiglia. Continua a leggere

Il Munaciello a Castellammare

articolo di Maurizio Cuomo

'o munaciello

‘o munaciello

Un episodio misterioso raccontato in modo minuzioso e con particolari realistici, potrebbe suscitare in chi ascolta interesse; naturalmente però, se viene raccontata una vecchia storia sbiadita dal tempo, tramandata da padre in figlio, magari per diverse generazioni, diventa tutto molto più affascinante e coinvolgente dal punto di vista emotivo.
A volte però, accade che la vecchia storia protratta per decenni, subisca nel tempo delle involontarie modifiche, imputabili per lo più, all’innato estro narrativo di chi racconta (omissione di tracce ritenute poco importanti, piccole dimenticanze o addirittura inserimento di nuovi particolari per rendere il tutto più credibile). Questa involontaria, ma continua alterazione della versione originale del racconto, può trasformare la vecchia storia, generando (se questa è già molto radicata) addirittura una credenza popolare di straordinario impatto suggestivo.
La nostra tradizione è talmente ricca di credenze, che sarebbe arduo farne un preciso conteggio; tra di esse, però, spesso si sente parlare di fantasmi, licantropi (il cosiddetto Lupo Mannaro) e monacielli. In questa pagina cercheremo di analizzare per quanto possibile il fenomeno “Monaciello”, ossia quella presenza inafferrabile e misteriosa che per anni è stata protagonista delle cosiddette storie da focolare, raccontate dagli anziani di famiglia.

Origini della credenza
Secondo alcuni scritti (dei quali, però, non garantiamo l’effettiva attendibilità), la credenza del Munaciello a Napoli era già in essere nel 1578, quando nel “Pragmatica de locto et conduco” (raccolta di leggi che regolavano gli affitti), veniva dedicato un intero articolo sul Munaciello, stabilendo che se il locatario veniva assalito da un Munaciello poteva lasciare l’abitazione senza pagare l’affitto. Continua a leggere