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antichi mestieri stabiesi

Antichi mestieri

Antichi mestieri stabiesi

antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo


Acquaiuolo
( a cura di Maurizio Cuomo )


Ammuola forbece
( a cura di Maurizio Cuomo )


Capillaro
( a cura di Maurizio Cuomo )


Carcararo
( a cura di Nando Fontanella )


Carnacuttaro
( a cura di Maurizio Cuomo )


Castagnaro
( a cura di Maurizio Cuomo )


Cucchiere
( a cura di Maurizio Cuomo )


Gallettaro
( a cura di Maurizio Cuomo )


Gravunaro (Cravunaro)
( a cura di Maurizio Cuomo )


Lutammaro
( a cura di Maurizio Cuomo )


Masterascio e Segatore
( a cura di Maurizio Cuomo )


Materassaio
( a cura di Antonello Ferraro )


Mellunaro
( a cura di Maurizio Cuomo )


Muzzunaro
( a cura di Maurizio Cuomo )


Panzaruttaro
( a cura di Gioacchino Ruocco )


Pezzaro
( a cura di Gioacchino Ruocco )


Scupatore
( a cura di Maurizio Cuomo )


Stagnaro
( a cura di Gioacchino Ruocco )


Tosacavallo
( a cura di Antonello Ferraro )


Venditore ambulante di frutta secca e semi abbrustoliti
( a cura di Gioacchino Ruocco )


Venditore di fichi d’India
( a cura di Gioacchino Ruocco )


Vuttaro
( a cura di Maurizio Longobardi )

… Prossimamente:

‘o Sapunaro

‘a Spicajola

‘a Vammana

continua …

Tartaruga dal guscio di noce

a cura del naturalista dott. Ferdinando Fontanella

"Dettaglio tartaruga giocattolo"

“Dettaglio tartaruga giocattolo”

Da bambino ho trascorso interi pomeriggi a realizzare piccole tartarughe con i gusci delle noci. Mi divertivo, ero contento, stavo bene. Oggi, a distanza di anni, ho riscoperto questa fantastica sensazione. Nell’ambito di un progetto di educazione ambientale ho avuto l’onore d’insegnare agli alunni del “Terzo Circolo San Marco” questo fantastico gioco. Vedere i bimbi indaffarati ad usare la fantasia per divertirsi è la cosa che più mi dà speranza. Sono fermamente convinto che il territorio conserva ancora le risorse naturali e l’energia culturale per riprendersi. Questo piccolo gioco, la cui realizzazione allieta e stimola la creatività dei più piccoli, riallacciandoli all’anima del territorio, può contribuire a non far morire la speranza di un futuro migliore. Quello che non potrà mai fare un freddo ed estraniante gioco elettronico.

Materiali e metodo:

Zompa Cavalier

( articolo di Maurizio Cuomo )

Una famosa opera di Pieter Bruegel (il Vecchio) dal titolo “Giochi di fanciulli”, risalente al 1560 (conservata ed esposta al pubblico nel Kunsthistorisches Museum di Vienna), testimonia le origini antichissime di questo giuoco (in alcune zone d’Italia  anche conosciuto col nome di “Cavallo lungo”). Nello specifico il gioco è illustrato nell’angolo basso a destra del dipinto.

Giochi di fanciulli ( Zompa Cavalier )

Giochi di fanciulli ( Zompa Cavalier )

 

Modalità e svolgimento del gioco:

Definiti i due gruppi (composti da un minimo di due giocatori per squadra) e designato un ulteriore partecipante (neutrale) che farà da cosiddetto “cuscino” (in alcuni casi detto anche “mamma”), il gioco ha i presupposti per avere inizio. A questo punto due rappresentanti, delegati dalle squadre, fanno il “tocco” (la conta), e la sorte decide il resto, ovvero chi farà da “cavallo” e chi da “cavaliere”. Stabiliti i ruoli di ciascun gruppo, i giocatori si predispongono nel seguente modo: il partecipante “cuscino” (il quale ha il ruolo di sostenere, di ammortizzare e di proteggere la testa del capo fila del gruppo “cavallo”), posizionatosi in piedi con spalle al muro, viene cinto alla vita dalle braccia del primo dei giocatori che fanno da “cavallo”, il quale, piegato a novanta gradi (testa e spalla al “cuscino”), cercherà nei limiti del possibile di trovare una posizione comoda e soprattutto sicura, adatta allo svolgimento del gioco; il secondo del gruppo “cavallo”, ugualmente piegato a novanta, si predispone avvinghiato saldamente alla vita del suo capo fila, il terzo e gli eventuali ulteriori componenti del gruppo “cavallo”, avranno cura di posizionarsi allo stesso modo (formando così un unico corpo “cavallo”, saldo e sicuro). La squadra dei “cavalieri” (chiaramente di pari numero), previa consona rincorsa, inizia quindi a saltare sulla schiena dei ragazzi dell’opposto gruppo (azione che ha dato origine al nome del gioco “Zompa cavalier”), facendo attenzione a permanervi nel tentativo di abbattere con il peso i giocatori sottoposti.
E’ uso comune e buona norma (per dare preavviso ai “cavalli” in attesa, rivolti di spalle), che i saltatori accompagnino la rincorsa per il salto dando la relativa voce: “Zo-mba ca-valier”.
Tatticamente si darà incarico al primo “cavaliere” (in genere quello più agile, veloce e coordinato), di effettuare un salto sufficientemente lungo al fine di lasciare spazio utile ai successivi saltatori; a slancio compiuto, il primo “cavaliere”, in attesa che tutti gli altri saltatori abbiano compiuto il relativo slancio, dovrà permanere aggrappato alla schiena del sottostante “cavallo”, facendo attenzione a non cadere, pena la sconfitta della squadra di appartenenza. Il gioco metterà alla prova l’agilità e l’equilibrio dei “cavalieri” e la resistenza e la compattezza dei “cavalli”, designando un vincitore solo su rinuncia, o quando un componente dei due gruppi sbaglia (se un “cavaliere” cade o un “cavallo” cede).

Venditore fichi d’India (antichi mestieri)

Antichi mestieri stabiesi

Conoscere il micro-passato (il normale quotidiano soggettivo) può essere utile a capire la crescita economica e culturale di una intera popolazione. Questa modesta ricerca degli antichi mestieri (estinti e sopravvissuti), potrebbe aiutare a delineare con più chiarezza una parte dimenticata di vita stabiese vissuta.

Maurizio Cuomo


Venditore di fichi d’India
( a cura di Gioacchino Ruocco )

Venditore fichi d'India

Ieri, al supermercato, tra la frutta in vendita, vicino al banco delle noci fresche, ho trovato anche i fichi d’India. C’erano confezioni da quattro fichi e da sei, per i più voraci. Dalle nostre parti questo frutto nel dialetto parlato è identificato con il nome di figurina. Negli anni vissuti in campagna, presso i nonni materni, nel periodo della sua maturazione ci attrezzavamo per asportare i frutti dalla pianta e consumarli a volontà anche se le raccomandazioni di evitare di farne un’indigestione sopravanzavano quelle di non rovinarci le mani con le spine che li rivestono, quasi a proteggerli contro l’ingordigia di noi ragazzi. Al di là dei semi contenuti al suo interno, che possono piacere o meno, la polpa, quando il frutto è maturo, risulta gustosissima.
Il ricordo delle piante dietro la casa di mia nonna è ancora vivo: le pale, come mani enormi cariche di doni, si protendevano nell’aria per inebriarsi al sole e come tutte le piante succulente, producono un lattice che è un toccasana contro le scottature e le irritazioni; rinfresca la pelle e quasi la rigenera.
Dopo la fine della guerra, col trasferimento definitivo alla casa natia di Vicolo Sorrentino a Mezzapietra, dove i miei abitavano dal giorno del loro matrimonio, la vita nel ritornare al suo tran tran naturale faceva affacciare anche nel vicolo i mestieranti della strada che portavano a domicilio il frutto delle loro iniziative praticate un giorno dopo l’altro per sbarcare in qualche modo il lunario.
Così un giorno vi si affacciarono anche quelli che vendevano i fichi d’india. Erano per lo più dei ragazzi che trascinavano su carrettini di legno che avevano per ruote cuscinetti a sfera, cassette di fichi d’india che vendevano sia singolarmente, sia ad “appizzare”, una sorta di acquisto/lotteria che consisteva nel far cadere il coltello verticalmente con la punta in avanti sopra i frutti deposti nella cassetta per prelevarne tutti quelli conficcati sempre che non si sfilavano dalla lama che doveva restare sempre e comunque perpendicolare alla cassetta. Le prestazioni erano diverse con costi diversi. Per un numero illimitato di “appizzate”, fino a quando l’ultimo frutto sollevato non si sganciava dal coltello, vi era un prezzo, oppure si pagava per il numero di colpi che si desiderava effettuare.
Il coltello era sempre di peso modesto, con la punta acuminata e a lama liscia, senza seghettature che potevano facilitare il cliente nell’asporto. Il coltello non sempre riusciva a penetrare nei frutti per cui il più delle volte si riusciva a prelevarne ben pochi. Quando non si riusciva a prenderne nemmeno uno il ragazzo ne offriva sempre qualcuno come consolazione per la perdita.
Quando invece le cose andavano a sfavore del venditore sorgevano animate discussione sul modo con il quale si era riusciti a sollevare il coltello dalla cassetta con i frutti infilzati. Le chiacchiere continuavano anche dopo quando il venditore usciva dal vicolo quasi sconfitto e si aspettava baldanzosi il prossimo per una nuova scorpacciata.
Il Paliotti nella sua storia a fascicoli della “Canzone Napoletana”, nel fascicolo n. 9, pubblica una stampa a colori di Pasquale Mattei del sec. XIX), ma il soggetto che vi è rappresentato, è lontano mille miglia da quelli che arrivavano nel mio vicolo, dalla loro vivacità e della loro furbizia.
Oggi, a distanza di tanti anni, debbo riconoscere che avevano un carattere eccezionale, una determinazione che il sottoscritto, invece, ha acquisito soltanto nell’età adulta e messa alla prova quando ormai era indispensabile ed ineluttabile.
Comunque i fichi d’india hanno sempre lo stesso fascino e lo stesso sapore, certo, oggi, arrivano in commercio emendati dalle spine e non devi prendere più tante precauzioni nel maneggiarli. Aprirli per consumarli e assaporarli è come aprire uno scrigno dove ci sono sogni che non ti danno requie.