(articolo di Maurizio Cuomo)
Tramandato per generazioni e sicuramente già in uso agli inizi del novecento, di questo gioco non è ben identificato il periodo di origine. Espressione di intelligenza, agilità e coordinazione, questo gioco di gruppo la cui dinamica è molto somigliante allo sport olimpionico del salto del cavallo, veniva prevalentemente praticato da ragazzi di sesso maschile in età preadolescenziale.
Lo svolgimento è molto semplice: prestabilito mediante una “conta” il giocatore che farà da “cavallina” (colui che restando fermo con le mani poggiate alle ginocchia e la testa in giù ben coperta da eventuali contatti con i saltatori, assume la posizione del noto attrezzo ginnico), fungendo come appoggio, attende i compagni di gioco, che, eseguita una breve corsa, poggiandogli le mani sulla schiena si danno slancio per scavalcarlo mediante un salto a gambe divaricate. Per non essere penalizzati a fare la “cavallina”, i saltatori non devono toccare l’avversario in nessun altro modo, se non con le mani sul dorso. Ciò che però rende questo gioco caratteristico, distinguendolo da una qualsiasi prova ginnica, è la “voce” che ciascun saltatore è tenuto a dare come accompagnamento al proprio salto. La “voce”, data prettamente in dialetto, differisce a secondo del turno e descrive in che modo verrà eseguito il salto. Nel corso degli anni questo gioco ha subito innumerevoli modifiche, per cui di seguito illustriamo una delle tante versioni di “Uno ‘a luna”, descrivendo le voci che caratterizzano i sedici turni: Continua a leggere