Con questo breve scritto provo a dar voce al sentire comune di tanti stabiesi che come me amano gli alberi e sono avviliti dalla disgraziata gestione che se ne fa in città.
Il platano della villa comunale (F.Filosa)
Inizio col raccontarvi di un episodio accaduto alcuni mesi fa quando il caro amico Gigi mi scrisse per chiedermi il miglior modo di potare un vetusto Gelso che cresce in un podere di famiglia che lui con tanto amore e passione gestisce.
Gigi mi confidò che tutti gli anni praticava una drastica potatura che consisteva nel tagliare tutte le frasche della chioma risparmiando solo il tronco e qualche ramo principale. In sostanza capitozzava il Gelso – per inciso capitozzare significa “tagliare la testa dal collo” – e lo faceva per una ragione ben precisa, ripeteva i gesti che anni addietro aveva visto fare al suocero.
Da una foto che mi inviò dell’albero era evidente che questa pratica di potatura era stata applicata costantemente e per lungo periodo, infatti, il Gelso presentava il caratteristico e vistoso ingrossamento all’apice del tronco che in gergo tecnico è detto “Testa di moro”. Questo sviluppo anomalo del tronco è causato dal proliferare dei tessuti di crescita che ogni anno devono generare una nuova chioma per consentire la regolare e vitale attività di fotosintesi.
A questo punto qualcuno si chiederà il perché di questa potatura, la risposta è semplice, per capire però è necessario risalire alle ragioni che hanno spinto il suocero di Gigi a piantare un Gelso.
La piantumazione di un albero non avviene quasi mai per puro diletto, quando un uomo pianta un albero è mosso da esigenze ben precise riconducibili generalmente agli aspetti utilitaristici che la determinata pianta può offrire. Nel caso specifico il Gelso era stato piantato per soddisfare le esigenze di un piccolo allevamento di bachi da seta.
Il Baco da seta non è altro che un bruco che si nutre di foglie fresche di Gelso finché non arriva il momento di tramutarsi in farfalla è a questo punto che, per sua sfortuna e per nostra fortuna, inizia a tessere un bozzolo di sottili e resistenti fili, che l’uomo manipola e chiama seta.
Quindi il Gelso era stato piantato per la produzione di foglie da dare come foraggio ai bachi e questo giustifica le drastiche potature, tagliando tutti i rami della chioma si costringeva l’albero a produrre annualmente una nuovo e tenero fogliame.
Scrissi a Gigi che era meglio non capitozzare più l’albero perché ormai, da quando l’allevamento di bachi da seta era cessato, il Gelso aveva per così dire “cambiato mestiere”. Da albero operaio era diventato albero ornamentale e come tale ora andava potato. Consigliai di lasciar crescere la chioma del Gelso e di limitare i tagli a qualche ramo secco.
Ho voluto raccontare questo episodio perché credo dia la possibilità di stabilire determinati punti fondamentali per la gestione degli alberi della nostra città:
- gli alberi si piantano per uno scopo ben preciso;
- esistono diverse tipologie di albero che assolvono a diverse esigenze sociali;
- gli alberi piantati artificialmente necessitano di appropriate cure;
- gli alberi vanno potati in funzione della loro biologia e dello scopo a cui sono stati destinati.
Stabilito questo possiamo dilettarci nel fare una panoramica sulla disgraziata gestione del patrimonio arboreo di Castellammare di Stabia.
Gli alberi piantati in città devono essenzialmente assolvere al compito di abbellire e/o ombreggiare. Chi è pratico di potatura sa che il modo più improprio di potare un albero piantato per questi scopi è quello di capitozzarlo. È veramente troppo chiedere ad un povero albero che gli è stata appena tagliata la “testa dal collo” di essere bello e/o fare ombra.
Questo semplice, lineare e basilare ragionamento sembra essere estraneo ai gestori del nostro patrimonio arboreo. Infatti, la capitozzatura in città è usata abbondantemente e aggiungerei anche che viene utilizzata come “panacea per ogni male”.
Ma procediamo con ordine, vediamo un po’ quali alberi sono stati capitozzati negli anni (per brevità citerò solo i casi recenti e quelli più eclatanti e deleteri).
La vittima più recente è un bellissimo Tiglio che cresce in via Pantanella nel Parco del Palazzo reale di Quisisana, recentissimi sono anche le capitozzature dei lecci di Villa Gabola e di alcuni oleandri della Villa Comunale, oleandri che per inciso stanno agonizzando perché i giovani germogli sferzati dai “severi e salati” venti marini non riescono a ricostituire la bella, folta e fiorita chioma di un tempo.
Strabilianti capitozzature subiscono le robinie piantate in tutta la città, vedi ad esempio gli alberi di via Bonito o Viale delle Puglie o via Panoramica, ecc.
Incredibili sono poi le potature avvenute in una delle vie più belle di Castellammare, Salita Quisisana, questa strada, che collega il Palazzo Reale al Centro Antico era alberata nella parte medio-alta da stupendi e caratteristici lecci, questi alberi erano così belli che un tempo quel tratto di strada era conosciuto col toponimo di “salita dei lecci”.
I lecci di Salita Quisisana sono incappati in una duplice disavventura: sono stati infestati da un insetto, il Cerambice delle Querce, la cui larva scava profonde gallerie nel tronco minando seriamente la vitalità dell’albero, e per curare le infestazioni si è pensato bene di operare ripetute e sempre più drastiche capitozzature. Il risultato finale è stato, e non poteva essere altrimenti, la morte degli alberi. Oggi, infatti, della mitica “salita dei lecci” non resta che qualche sparuto ed umiliato albero.
Stessa sorte è toccata alle alberature della parte medio-bassa di Salita Quisisana, ad adornare questo tratto di strada c’erano bellissimi platani, che purtroppo si sono ammalati, “Cancro colorato dei platani”, e come cura hanno ricevuto ovviamente una dose massiccia di capitozzatura.
Lo stesso vale per i platani di via Fratte, per quelli della Villa Comunale e delle altre strade della città. Mi sembra inutile a questo punto continuare con l’elenco dei misfatti e delle vittime, del resto ognuno di noi può farsi un giro in città e rendersi conto di quello che è stato e tuttora sta capitando.
Più utile è provare ad analizzare il perché di questa disgraziata gestione. Anche sforzandosi non è facile trovare una spiegazione a questo assurdo andazzo. Perché insistere con tagli che non portano a nessun risultato soddisfacente? Gli alberi piantati per ombreggiare non fanno più ombra e quelli piantati per abbellire non sono più belli e così via. Se poi consideriamo che sempre più spesso gli alberi che subiscono questa brutale pratica alla fine, sfiniti ed indeboliti, finiscono per seccare completamente, il quadro appare ancora più triste ed incomprensibile (a questo punto mi corre l’obbligo di denunciare che molto spesso gli alberi morti non vengono rimpiazzati e questo alla lunga sta facendo sparire tutte le alberature della città).
A sentire la “voce del popolo” la spiegazione più logica alle potature selvagge e il becero intento di ricavare dagli alberi legna da ardere. Possibile mai che la soluzione sia così squallida e venale? Personalmente sono convinto che probabilmente è vero che l’ottima legna, ricavata dal taglio dei lecci, dei tigli, dei platani e dalle altre essenze, finisca per ardere nel caminetto di qualche furbo di turno, ma non credo che sia solo questo il motivo per cui gli alberi vengono così selvaggiamente potati. Provo a fare delle ipotesi, la motivazione di fondo che spinge gli amministratori pubblici ad optare per questa pratica è essenzialmente questa: considerato che il Comune non ha più nell’organico giardinieri capaci di gestire quotidianamente il verde pubblico, considerato che questo servizio è da appaltare ad esose ditte esterne “specializzate”, considerato che un albero potato drasticamente è un albero che va potato una sola volta l’anno, se ne deduce che la capitozzatura dovrebbe comportare un risparmio nella gestione. Per capirci è lo stesso ragionamento di chi va dal barbiere e si fa fare una bella pelata.
Però noi sappiamo che gli alberi così potati non assolvono al compito per cui sono stati piantati, allora se la motivazione è quella di voler fare economia, perché non procedere con l’espianto totale delle piante così risparmiamo anche l’onere della capitozzatura annuale (probabilmente è per questo che non ripiantano gli alberi morti…un albero che non c’è è un albero che non va potato).
Concludendo sono convinto che la verità di fondo a questa assurda gestione è una profonda incompetenza degli addetti ai lavori, sia pubblici che privati, persone che non posseggono nel loro bagaglio culturale le nozioni tecniche e la necessaria sensibilità, doti assolutamente indispensabili per chi vive e lavora al servizio della natura.
Ferdinando Fontanella
Twitter: @nandofnt
Alcuni esempi espliciti:
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Via Fratte le alberature fanno ombra ai viandanti.
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Via Fratte oggi, i pochi alberi superstiti non fanno più ombra.
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Il tiglio di via Pantanella capitozzato (Mi chiedo perché è stato risparmiato quell’unico ramo?).
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Salita Quisisana splendidamente alberata a lecci.
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Salita Quisisana, i lecci sono solo un lontano ricordo.
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I meravigliosi lecci della Salita Quisisana.
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Lo squallore della Salita Quisisana senza le alberature a lecci.
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Morte di un leccio di Salita Quisisana.
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Danni prodotti dal Cerambice delle querce, da notare che le larve attaccano il tronco, il che rende praticamente inutili le drastiche potature della chioma.
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Quello che resta di un leccio di Quisisana.
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Quello che resta dei platani della Salita Quisisana.
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Robinia capitozzata, uno scempio che si ripete ogni anno.
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Robinia di via Panoramica, oggi questo albero non esiste più.