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La Villa Comunale

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Caro Maurizio, quando una persona invecchia, e per ragioni diciamo… naturali non ha più gli amici di un tempo, si rifugia in famiglia e nei ricordi. Ogni fatto, ogni cosa attuale lo riportano al tempo che fu. Capita naturalmente anche a me. Questa volta è successo mentre rileggevo “‘A Villa Comunale”, una bellissima poesia del grande Eduardo.

'A Villa Comunale (poesia di Eduardo)

‘A Villa Comunale (poesia di Eduardo)

L’incanto di questi versi mi hanno riportato indietro negli anni, quando ero ragazzino. Quando, se c’era una festa, nei viali della nostra bella villa si schieravano numerose bancarelle, addobbate con lampadine colorate e festoni multicolori anch’essi. Il frastuono di trombette e trombettelle, il vocio e i richiami dei genitori che raccomandavano ai loro scugnizzielli di non allontanarsi troppo per non perdersi tra la folla. Continua a leggere

Castellammare, riqualificazione villa comunale con incognita manutenzione

editoriale di Ferdinando Fontanella

La nuova villa comunale (ricostruzione computerizzata)

La nuova villa comunale (ricostruzione computerizzata)

Nella socialmente martoriata ed economicamente fallita “Città delle acque” venerdì mattina, 22 maggio 2015, si celebra l’inizio dei lavori di riqualificazione della villa comunale. La data, considerata l’importanza dell’opera, è destinata a entrare negli annali di storia locale e sarebbe bello poter sapere in anticipo se negli anni a venire questo momento sarà celebrato come svolta positiva o ennesimo fallimento e sperpero di soldi pubblici. La riqualificazione del lungomare cittadino è interamente finanziata con fondi europei, nell’ambito dei Programmi Integrati Urbani “PIU′ EUROPA”.

Successo o fallimento, vittoria o sconfitta, rinascita o morte? Per saperlo bisogna aspettare, il tempo dirà la verità. Nell’attesa però possiamo provare a ragionare sull’argomento così, senza inventare niente e basandoci su dati certi, possiamo azzardare una previsione su quello che sarà.

Partiremo da una domanda. Era proprio necessario questo rifacimento? Il quesito ai più sembrerà banale, perché la risposta è sicuramente Sì. Chi ha avuto la sventura di passeggiare in villa comunale è ben cosciente dello stato di assoluto degrado del luogo: aiuole ridotte ad immondezzaio-letamaio, alberi morti o morenti, fontanine chiuse o mal funzionanti, arredi urbani rotti e sporchi, monumenti imbrattati e danneggiati, piano di calpestio lurido e maleodorante. Insomma questa realtà talmente squallida meritava il colpo di spugna.

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Storia di un vecchio albero

( articolo del dott. Ferdinando Fontanella )

Da qualche tempo durante le mie passeggiate mi capita di soffermarmi a pensare agli alberi, non tanto alla loro essenza biologica, quanto all’aspetto culturale. Un tempo tanto preziosi da essere considerati divinità, oggi invece quasi del tutto ignorati. Una domanda frulla spesso nella mia testa, è possibile considerare un albero al pari di un amico, ed è lecito soffrire per la sua morte o provare collera per il suo assassinio?

Voglio raccontarvi la storia vera di un vecchio albero che per anni è stato uno dei simboli della mia città. Leggete e poi rispondete, in cuor vostro, alle domande che pocanzi vi ho posto.

Platano Villa Comunale

Platano Villa Comunale

Con la sua possente chioma il vecchio platano della villa comunale ha protetto dal sole cocente intere generazioni, i rami nodosi Continua a leggere

Il “salotto” di Castellammare (parte I)

Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )

Breve premessa dell’autore:

Caro Maurizio, quale ricordo della mia recente visita a Castellammare, ho scritto queste brevi memorie. Ho riportato anche una bella poesia di Eduardo che mi sembra inerente al tema. Se ritieni che il tutto possa interessare i lettori del Libero Ricercatore puoi pubblicare…
Un abbraccio e un saluto a tutti gli amici che ho incontrato recentemente in quel di Stabia, ed a te in particolare. Gigi Nocera

villa  comunale

villa comunale

Un tempo i maggiorenti delle città (il notaio, il medico condotto, il farmacista, il delegato governativo, che era una specie di commissario di P.S., ecc.) si trovavano periodicamente a casa dell’uno o dell’altro, alternativamente. Parlavano di politica, dei fatti più importanti accaduti in città, pettegolavano… Figurativamente si diceva che facevano “salotto”, dal nome della stanza in cui avvenivano questi incontri. In molte di queste dimore a volte esisteva anche un pianoforte e quindi si faceva anche musica. Normalmente a deliziare le orecchie dei convenuti era la padrona di casa. Il “salotto” di Castellammare invece era la Villa Comunale. Ma lì convenivano i componenti di tutti gli strati sociali, non soltanto la borghesia. Lì si incontrava il bottegaio, l’impiegato, l’operaio, ma anche il medico, il notaio, ecc.; bastava avere voglia di vedere un amico, un parente, un conoscente: la Villa era il luogo principale deputato a questi incontri. Qui, oltretutto, nelle sere d’estate si godeva della frescura originata dalla brezza marina mescolata al profumo delle foglie di quei maestosi platani. I rami di questi alberi, imponenti e folti, intrecciati gli uni agli altri, con le loro grandi foglie formavano una galleria naturale. Questo tunnel di verde era percorso continuamente da migliaia di concittadini intenti a commentare i fatti del giorno: propri e degli altri; parlavano di politica, pettegolavano… Proprio come in quei “salotti bene” di cui sopra. E si faceva anche musica! Eh si! Alcune serate della lunga estate stabiese erano dedicate ai concorsi tra bande musicali. Quasi tutti i complessi provenivano dalle città dell’Italia Meridionale. In quei tempi il Comune di Castellammare disponeva di un discreto complesso musicale che partecipava a queste gare di bravura. Ma nulla poteva contro certe bande veramente brave e che erano conosciute anche in campo nazionale. Ne ricordo molto bene una in particolare, che proveniva da un paese della Puglia: Acquaviva delle Fonti. Ricordo molto bene anche il nome del Maestro che la dirigeva; si chiamava Caravaglios. Chi mi legge si può domandare: “Ma come fa questo qui a ricordarsi di certi particolari?” Chi ha avuto la bontà e la pazienza di leggere qualche mio precedente “ricordo”, benevolmente riportato su questo sito, sa che io sono sempre stato un fanciu/giovane molto curioso. Tutto mi interessava, tutto volevo sapere, tutto mi incuriosiva. E del resto come non può incuriosire un tale cognome: CARAVAGLIOS? Dalla mente di un giovane attento e curioso un nome siffatto difficilmente viene cancellato. Dunque dicevo: questi concorsi li vinceva quasi sempre questa banda musicale. Quando i complessi iniziavano a suonare i loro brani, l’incessante via vai dei concittadini subiva una pausa e molti dei presenti si accalcavano attorno alla Cassa Armonica attenti e concentrati nell’ascoltare e poi valutare. Gli altri, più indietro, nel “viale ‘e miezo”, anch’essi sostavano ad ascoltare. La conclusione del pezzo musicale eseguito era accolto da un applauso più o meno convinto secondo la bravura del complesso. Il programma musicale della serata era visibile alla sommità di una sagomata colonna d’acciaio istoriata con scanalature e fregi. All’apice di questa colonna vi era la riproduzione di una lira, quello strumento antico usato nel Medio Oriente e nella Grecia antica. Un incaricato del Comune aveva l’incarico di inserire nella sagoma di quella lira dei cartoncini rettangolari dove era presentato il programma che avrebbe eseguito la banda. Questa colonna si trovava adiacente al recinto esterno del Bar Spagnuolo, presso il quale, durante l’intervallo fra un brano e l’altro, “i grandi” andavano a gustarsi un buon caffè o un gelato, mentre “‘e piccerilli” davano l’assalto a quelle bancarelle illuminate da lampadine multicolore che vendevano caramelle, “franfellicche” e “lengua ‘e menelicco” e tante altre leccornie. In questi ultimi tempi, per pochi giorni, sono ritornato a rivedere la mia bella città. Ho notato molti, tanti, naturali e fatali cambiamenti rispetto ai tempi in cui ci ho vissuto io più di 70 anni fa. In Villa ho notato che molti di quei frondosi alberi non c’erano più, sostituiti da striminzite piante, rachitiche, tristi. Non sono uno specialista e quindi forse è fisiologico che dopo tanti anni anche gli alberi deperiscono. E vanno quindi sostituiti. Ma una soluzione più confacente alla bellezza e all’importanza del luogo non si poteva trovare? Fra questi tanti rifacimenti ho notato anche che la Villa è stata pavimentata con nuovi materiali. Quella terra battuta calpestata negli anni dai passi lenti di centinaia di migliaia di stabiesi non c’era più, sparita! Ed io mi sono immalinconito ancor di più nel ricordare tutti i giochi e le corse che avevo fatto lungo quegli ameni viali, inseguito dalle raccomandazioni dei miei cari genitori: “Gigi nu correre e nun te fa’ male”. E intanto le scarpette da bambino si impolveravano di quella terra che ora non sentivo più sotto i miei piedi…

‘A VILLA COMUNALE

( Eduardo De Filippo )

Ma ce sta sempe ‘a Villa Comunale
ch’ ‘e cugliàndere nterra, sparpagliate?
‘E sporte ch’ ‘e taralle nzuccarate,
‘a scalpella, ‘o ribotto… ‘e ffanno cchiù?

Chella funtan’ ‘e fierro mmiez’ ‘o ffrisco,
cu tre cannelle, e cu tre vaschetelle…
addò ferneva, fatto a varchetella,
‘o libro ‘e scola… mèna ancora, o no?

E chelli bancarelle culurate,
“ ‘e mammarelle d’ ‘o divertimento”,
ca vennèvan’ ‘a gioia ‘e nu mumento,
ca ‘e vvedive a nu miglio… stanno llà?

Sott’a n’albero… e mò chi se ricorda
addò steva e qual’era… na matina…
chiuveva n’acquarella fina fina…
( Guaglione me piacev’ ‘e m’ ‘a piglià ).

Truvaje pe terra nu cardillo muorto:
tenev’ ‘e pennezzolle grigie e d’oro…
cu ll’uocchie nchiuse pecchè pure lloro
nzerrano ll’uocchie quanno hanna murì.

E vedette chill’albere ca sotto,
mmiezz’ ‘e rràdeche, fatto a ccaserella,
ce steva n’archetiello a capannella…
nce mettett’ ‘o cardillo… Starrà llà?

Nu juorn’ ‘e chisto, quanno è maletiempo,
ca so sicuro e nun truvà a nisciuno,
me ne vac’ ‘jnt’ ‘a Villa. E a uno a uno
veco ll’ albere… ‘o vularria truvà.

E me voglio allungà fin’ ‘a funtana,
pe bevere a canniello, guliuso.
Si me rumman’ ‘a faccia e ‘o musso nfuso,
chell’acqua ‘a faccio scorrere… che fa?

Faccio abbedè ca vec’ ‘o tarallaro,
e m’accatt’ ‘o ribbotto, c’ ‘a scalpella.
Po’ me fermo vicin’ a tavulella
D’ ‘e ccaramelle svizzere e sciusciù.

Tutte chilli culure trasparente:
‘o nennillo, ‘a nennella, ‘o franfellicco…
E m’accatto na lengua e mnelicco
Pure si ‘a bancarella nun ce sta.

Villa Comunale

Giardino di luci

Giardino di luci

di Enrico Discolo

Villa Comunale

Villa Comunale

Questa mattina nell’osservare il cielo intravedo delle nuvolette rosa che vagano lente sul ponte azzurro. Così definisco l’arco della volta celeste che unisce idealmente la vetta del monte Faito a sud e la punta del triangolo del Vesuvio a nord. La brezza di mare increspa appena il golfo e fa oscillare gli alberi del litorale e della collina di Quisisana.
L’ampio seno di mare riverbera il prodigio dei colori di Castellammare. Il giro del sole ravviva il profilo montuoso di Pozzano e la linea d’orizzonte del Tirreno. La giornata estiva spande intorno fragranze di mare, fiori e lavande.
Nelle borgate delle falde l’atavico lavoro dei contadini segna il ritmo delle ore e la corsa dei giorni.

Questa natura stabiese, così affascinante e suggestiva, mi fa immaginare la terra delle mie radici in un tempo antico e tanto distante dal mio quotidiano.
Desidererei vivere la quiete e la meraviglia, l’ambiente e i luoghi primordiali di una estate così remota. Il fantastico viaggio nel tempo mi farebbe comprendere l’essenza momentanea di quella fase stagionale e i personaggi e le trame di tante storie lontane.
Sono sicuro che il mondo di oggi, così comodo, ma carente di sentimenti e di valori, non sarà mai vagheggiato!
Purtroppo certe volte, ma da poco tempo, la bella stagione delle vacanze se ne va anonima tra le bizze climatiche del tempo e senza lasciare alcuna traccia. Da qualche decennio le stagioni sembrano stravolte nel loro ciclo naturale. Sovente, in primavera, nel mese di aprile, abbiamo visto il Vesuvio col cappuccio bianco di neve e la nostra montagna, il Monte Faito, con la vetta innevata. E’ pur vero che la primavera è la figlia dell’inverno! Ma nel secolo scorso, almeno fino agli anni settanta, ogni stagione era tale e non subiva né anticipi né posticipi delle altre e addirittura non capitava che l’inverno fosse caldo come l’estate. Già l’estate! Appena ieri le temperature sfioravano i quaranta gradi e oggi a pochi giorni dell’avvento autunnale il freddo anomalo ci fa abbandonare le spiagge e costringe a modificare con anticipo il cambio stagionale del nostro abbigliamento.
Mi affascina quindi l’idea fantastica di vivere una di quelle stagioni nella terra arcaica di Stabiae. Mi sentirei altresì appagato se mi ritrovassi tra le ville romane antiche in una splendida mattina di luglio generata nel giardino di luci tra le colline e il mare di Castellammare di Stabia.