Il terremoto del 23 novembre 1980
“Per ricordare un anno prima del trentennio le vittime del terremoto dell’80”
di Giuseppe Zingone
Premessa:
La memoria storica da sempre affidata ai ricordi delle persone anziane, nella moderna società civile tende ad essere smarrita e dunque ricordi, parole, detti, racconti terminano con la perdita dei nostri cari che lasciano questa terra. Ne consegue, che smarrendo queste memorie inevitabilmente restiamo privi della nostra stessa storia. È pur vero che oggi, assistiamo sempre più ad iniziative personali a breve e lungo raggio che cercano nel loro piccolo di recuperare frammenti di vita vissuta, di un uomo, di un quartiere, di una intera città, e vorremmo additare ad esempio virtuoso “La Banca della Memoria”(1) nata a Torino per l’amore di quattro giovani ed il cui modello viene oggi esportato nel mondo. Lo stesso liberoricercatore germoglia a Castellammare di Stabia, nel tentativo di restituire alla Città una memoria comune, scavando le radici del nostro passato. Castellammare di Stabia è una Città-memoria! Un agglomerato urbano che porta inciso nella fisicità del proprio territorio le tracce di avvenimenti passati di cui molti sono i segni tangibili. Le distruzioni ad opera dell’uomo e della natura, indussero alcuni suoi cittadini ad attribuirle il motto “Post fata Resurgo”(2) che suona come una ricerca permanente di rinnovamento, una volontà delle sue genti che costantemente vollero che rinascesse dalle propri ceneri, come l’Araba Fenice. Il terremoto dell’Ottanta si pone nella storia della nostra Castellammare come spartiacque, cerniera di epoche assai diverse tra loro quasi senza continuità: da un lato la reputazione di Città turistica e industriale assieme, con i suoi piccoli problemi che iniziavano ad evidenziarsi alla fine degli anni Settanta e di cui ci rimangono oggi solo immagini da cartolina; d’altra parte, il dopo-terremoto che evidenzia una Città in declino, il cui apice, è la guerra di camorra tra i D’Alessandro e Imparato; senza dimenticare le problematiche connesse al mondo del lavoro (e del Sud) che fa degli stabiesi, menti e braccia esportate nel mondo.
La mia personale esperienza: Mio padre la stessa sera del terremoto del 23 Novembre 1980, guardando me e mia sorella più grande, disse: “Racconterete voi a vostra sorella Annalisa (di un anno), ciò che è accaduto oggi!”, ed io qui ora mantengo la mia promessa. Così è nella mia memoria il terremoto, rapido e funesto! Un evento non preannunciato, che fa della natura, la mano efferata che si abbatte sui suoi figli; una natura a dire il vero troppo spesso inascoltata ed offesa. Gli uomini dunque vittime dei loro stessi errori, come ci ricorda tragicamente il più recente terremoto dell’Aquila. Sono trascorsi quasi trent’anni da quel sisma che ebbe il suo epicentro in Irpinia e che con questo nome è passato alla storia, ma che sconvolse anche la nostra terra(3). Era Domenica, ed il terremoto ci colse così… mentre stavamo giocando, i miei nove anni sparirono in un attimo, altri non ebbero più modo di contare i propri, è bastata una scossa ed il boato che squarciava la terra, portò con sé decine di vite che intrapresero insieme un unico cammino. Per molti miei coetanei quella sera ebbe termine la spensieratezza, la gioia e i giorni divennero grigi. Ci scoprimmo improvvisamente adulti, Richter e Mercalli divennero i nostri compagni di gioco; come la consapevolezza dell’assestamento e l’immancabile paura che ci perseguitò per molto tempo, e che spesso riemerge nelle mie notti insonni. Molte parole nuove come: scosse telluriche, sussultorio e ondulatorio, sisma, magnitudo, container, baraccopoli andarono ad arricchire il nostro vocabolario. Lo studio, in attesa delle dovute verifiche si fermò, la Scuola Media Statale Alfredo Panzini, sotto la reggenza del Preside De Simone, unica nel Centro Antico di Castellammare portò “i propri banchi in tasca” spostandosi all’Ex Ufficio Sanitario (via Amato) zona Ferrovia. Alcune partite dei Mondiali dell’Ottantadue le vedemmo a scuola, per i turni pomeridiani, e solo nel 1983 quando frequentavo la seconda media, riacquistammo la nostra nuova sede, nei pressi della Fontana di San Giacomo, dove si trova ancora oggi. Tornando ai fatti, con i miei genitori e le mie sorelle, abitando in via san Bartolomeo, potemmo rifugiarci immediatamente nell’area portuale allora non chiusa, né da muri né da cancelli, i marinai della Capitaneria si adoperarono in tutti i modi per soccorrerci. Lo spazio aperto fatto di stelle e una porzione di cielo, ci parve nell’immediato un luogo sicuro, ricordo anche un fatto singolare i sacerdoti che impartivano il rito della Riconciliazione, assolvendoci con la formula comunitaria, forse perché si pensava ad una situazione ancora in evoluzione, che per fortuna non sopravvenne. Il centro storico, rigurgitò fuori, tutti i suoi abitanti lasciando le case fino ad un attimo prima, calde e ridondanti di vita, ora semi-abbandonate e silenti. Adesso che lo scrivo posso dire che già il giorno dopo, il Centro antico si ritrovò più vuoto, ed andò nel post-terremoto ad affollare la periferia nord della città, tra essi molti figli che persero le proprie origini antiche, fatte di vicoli e piazze, di vita di strada. Altri nuclei familiari si accamparono e si ritrovarono in Villa Comunale, in un’ora inusuale e senza l’abito della Domenica, quasi smarriti. La solidarietà traboccante delle prime ore si trasformò nel corso degli anni in un ripiegamento egoistico ed indifferente del cittadino stabiese su sé stesso. Dopo un lungo peregrinare, nostro padre decise di ritornare cautamente a casa; quelle poche ore furono interminabili, ma gli antichi caseggiati addossati orgogliosamente l’uno a l’altro, si rivelarono più solidi di quello che la loro veneranda età dimostrava. Le lesioni, le crepe, i cedimenti, ci palesarono poi, quanto gli stessi edifici avessero sofferto il sisma, le loro cure nel dopo terremoto furono i ponteggi, le siringhe di cemento armato e le putrelle in ferro, mentre le arcate e le rampe delle scale furono temporaneamente puntellate con pali di legno. Quanti loro malgrado si scoprirono eroi? Ma non furono mai decorati… Esemplare la storia di Don Michele D’Auria, sacerdote ed alpino, il quale fin dove lo sorressero le forze, scavò per ore a mani nude nel tentativo di trovare persone ancora in vita. Il giorno dopo con mio padre andammo a contare i danni, i crolli, le vittime; i figli maschi devono vederle queste cose, quanto sia pedagogico non saprei dire. Ho visto cercare tracce di una vita normale, ma sparita, sulle macerie della propria casa, oggi penso che rimanere in vita fosse già segno di Resurrezione. Con il terremoto arrivò anche la fine della bella pavimentazione della Villa Comunale fatta di anfore e cavallucci marini, infatti vista la impraticabilità di Corso Garibaldi, per i crolli avvenuti, i soccorsi passavano di lì, come i vagoni ferroviari degli aiuti, che abitarono il nostro lungomare per molto tempo. Dopo il bel tempo le giornate di pioggia ci portarono tanto e tanto fango e la ripresa ci scivolava dalle mani.
C’è una foto che nel tempo ho fatto mia, ed è tratta dal libro 76 immagini del terremoto a Castellammare, edito da STABIA Press 1981, opera di A. Colonna e L. Diogene, non sono io, ma mi rivedo in quel bambino che con passo veloce cerca di sfuggire alla devastazione che lo attornia mentre attraversa le vie cittadine stringendo la mano del padre. Il terremoto a Castellammare di Stabia. A questo punto anche le pagine del liberoricercatore serbano qualche riga di quei giorni. Mi piacerebbe che il libro di Diogene e Colonna, fortemente moderno e carico di emozioni; fosse ristampato, nel trentesimo anniversario del sisma. Altra speranza è che finalmente delle vittime stabiesi di quella violenta tragedia, si faccia comune memoria, ed è per questo che riprendo dal libro i nomi di questi sfortunati concittadini:
Amalia Formicola
Angela Gargiulo
Aniello Tellino
Anna Balestra
Anna Gargiulo
Anna Rosa Gambardella
Antonio di Martino
Antonio Liano
Antonio Zizzari
Armando Liano
Carmine Lauritano
Caterina Astra
Emilia Maresca
Filomena Liano
Giacomo Balestra
Giuseppa Izzo
Giuseppe D’Aniello
Giuseppina Balzano
Maria Rosaria Balzano
Michele Oliva
Nicoletta Mascolo
Raffaella Longobardi
Rosa di Martino
Salvatore Cozzolino
Le polemiche del dopo-terremoto sulla gestione dei fondi per la ricostruzione non appartengono alla mia memoria, le VITE perse si! Molti conservano ancora nel proprio cuore le molte cicatrici aperte dal sisma, molti cuori dopo il terremoto si spensero per il dolore, la rabbia, la paura; in quanti stabiesi l’inconscio, non ha smesso per un attimo di rielaborare quegli eventi? Come un disco che ripercorre lo stesso solco! Ai giovani cuori l’impegno di documentarsi, chiedere, raccogliere informazioni, scoprire che il terremoto non è poi così lontano, ci è prossimo, basta conoscere il nostro centro storico, il vero cuore della città, affondare gli occhi negli edifici che ancora ci interpellano stupiti, e ci chiedono come mai non ricambiamo le cure che essi hanno avuto per noi quando ci facevano crescere, ci proteggevano ed amavano.
Fare memoria comune è utile, insegna a non DIMENTICARE.
NOTE:
(1) MEMORO, La banca della memoria, http://www.memoro.org/it/
(2) Il motto dell’Araba Fenice significa letteralmente “Dopo la morte torno ad alzarmi” ed è riportato oltre che nello stemma della Città di Castellammare anche in quello del comune di Torre del Greco, Formia (Latina), Alezio (Lecce), Zocca (Modena), Suzzara (Mantova).
(3) Il noto cantautore napoletano Sergio Bruni dedicò alla città di Napoli devastata dal terremoto la canzone “Napule è mille ferite”.