Ugo Cafiero a Piero Girace
di Giuseppe Zingone
Nel 1931 il giornalista stabiese Ugo Cafiero1presenta e scrive una ricca introduzione al libro di poesie: La Fontana di pietra, di Piero Girace, il piccolo volumetto è di proprietà del Dottor Carlo Vingiani.
È quasi un ringraziamento a Piero Girace l’introduzione a questo volumetto di poesie da parte di Ugo Cafiero. Il nome di Cafiero compare nelle Acque e il Maestrale, qui il testo: “Nel pomeriggio un giovane assessore del Comune di Castellammare, Ugo Cafiero, prende ansioso l’erta del vecchio viale borbonico, e s’incammina, recando con sé un fascio di giornali del mattino, verso l’albergo Quisisana, dove l’attende un vecchio ammalato e quasi cieco al quale il giovane assessore, tutti i giorni, legge le notizie più importanti dei quotidiani.
Al suo arrivo il vecchio si alza dalla poltrona e gli va incontro salutandolo cordialmente. Questo vecchio è Francesco Crispi”.2
Ugo Cafiero è noto per essersi interessato agli inizi del Novecento, sul giornale La Stampa di Torino, della tratta di bambini meridionali in Francia e Belgio, con un primo articolo (di cui il secondo in collaborazione con Giuseppe Prato) La liberazione di ottanta piccoli martiri.
Inoltre abbiamo reperito una piccola biografia del giornalista tratta da: Il quarto potere a Roma: storia dei giornali e dei giornalisti romani.
“Ugo CAFIERO, magro, pallido, allampanato, sembra visto a traverso i raggi X.
Faceva il professore privato a Castellamare di Stabia, ed era nel contempo corrispondente di vari giornali di provincia. Venuto a Roma, al Giornale d’Italia, non vi si soffermò a lungo. Emigrò allora alla Sala della Stampa, e dopo varie indecisioni riuscì ad avere Il Mattino di Napoli, del quale è ora il corrispondente ordinario. Fu anche per qualche tempo corrispondente della Stampa di Torino, a latere del Cortina.
Segni particolari: porta il cappello alla bersagliera, ma non ne ha il fisico”.3
AD ETTORE TITO
SIGNORE DELLA LINEA
E DEL COLORE
ORGOGLIO DI STABIA
GLORIA D’ITALIA
Per Piero Girace la poesia è persona di casa. Cinquant’anni sono Francesco Girace era una vena inesauribile di versi d’amore e prose di romanzi. Qual meraviglia che Piero discenda per li rami? Basta essergli stato vicino per persuadersi che è un temperamento di poeta, di artista.
Ogni sentimento manifestato da altri diventa in lui misurato, armonico, si rivela nella sua voce di flauto. Tutti abbiamo le nostre passioni personali, le nostre collere, le nostre speranze, simpatie ed antipatie: passano sotto gli occhi, nelle orecchie di lui ed eccole diventate un sorriso, una modulazione; ne è sparita ogni passione eccessiva, ogni disarmonia. I contrasti, le bruttezza soffiano in lui o n’escono sfumature, opinioni, sorrisi, armonie sociali.
Ricordo che a Roma era un bel granatiere, incoraggiato dai superiori a far la carriera militare; quel che gli occorreva era molto meno della sua intelligenza; ma naturalmente alla fine della ferma, addio ambizione dei galloni: doveva ritornare fra il nostro mare ed i nostri monti a sognare:
Dolce nell’ombra sua poter sognare,
immoti, senza cure, indisturbati,
l’ora triste del sol poter passare
sulle rozze panchine abbandonati.
Qui doveva esser preso al fuoco fascinoso del fascismo; egli vive nella fornace, ma n’esce come la salamandra: tutto sente e tutto smorza. Della casa del Fascio, invece che una fucina politica, se fosse per lui farebbe una….. biblioteca d’arte. In lui la passione politica è un elemento della sua complessa armonia, un accento, un motivo dei suoi ritmi.
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Ma ogni temperamento d’arte, come questo di Piero Girace, deve avere la sua nota specifica. Qual è quella del nostro giovine amico?
Dai versi suoi salta subito all’animo del lettore: egli è un artista visivo – auditivo, è un paesista e un melodico.
Giacchè in questa nostra plaga incantata un solo sentimento si può dire comune a tutti noi: il fascino della bellezza che gustiamo innanzi ai quadri sempre nuovi del nostro mare e dei nostri monti: l’immensità azzurra, che ci inebria e ci placa, e i segni laboriosi degli uomini, che incidono questa immensità. Questo microcosmo di Stabia rappresenta l’universo fisico e sociale a noi simpatico. Tutti i motivi che troviamo nelle varie arti, nei libri, se consideriamo, affiorano, acquistano forma fra noi.
La ricchezza, la miseria, le industrie e i commerci, il passato regale e il futuro utopistico, la bellezza e il sogno, tutti gli spunti e tutti gli umori, tutti i fascini e tutte le verità più amare e profonde vivono in questo nostro crogiuolo; e la poesia spontanea di Piero Girace ne è un’eco attraente.
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Se potessimo acquistare da un discreto paesista un quadretto, che ci rappresentasse il caffettuccio del paese! Vi si potrebbe scrivere sopra un volume di pensieri; ma il pittore ce lo squaderna simultaneo perenne in pochi tratti, e noi pensiamo quel volume in un istante, nel nostro salotto o nel nostro studio, riguardandolo. Le parole di Piero più economicamente possono per noi valere quanto il quadretto del pittore:
“Piccolo e quieto come un tempietto
sembra un asilo di serenità;
ogni sera sul morbido sofà siedon
due vecchi gravi nell’aspetto.”
E il quadro dei ricevimenti paesani?
“Un lungo mormorio – ostenta un falso brio,
ma a poco a poco langue: mancano gli argomenti,
C’è per fortuna il piano che sol può ravvivare
la serata.” Dottore, canti l’addio all’amore!
Volete procuravi a buon mercato un altro quadretto?
“Sulla borgata scende lentamente
la sera mite come un dolce velo
di pace. Con un volto sorridente,
misteriose lucciole, nel cielo
s’affacciano le stelle. La borgata,
dopo i quattro rintocchi di campane
dell’Ave sembra quasi addormentata”.
La vostra pinacoteca può diventare magicamente numerosa:
“Ombrosa è la villetta comunale!
…………………………..
ove ronzano donne spensierate
che in fondo alle pupille vellutate
celano una febbrile ansia d’amare”.
Quando siamo impediti in casa parecchi giorni, qual forza irresistibile, qual gorgo di vita ci trascina alle strade, ove sappiamo che tutti passeggiano? Qual sollievo alle nostre pene, qual oblio dolce, qual fontana di nuova fiducia non ci procura il mescolarci alla fiumana?
Mirare ed essere mirati! Il quadro del pittore solo in parte può dirci quel che ci dice la poesia di Piero:
“l’anima della folla
si trasfonde nell’aria cinerina,
mentre contro la riva
l’onda sciaborda ognora
con un dolce e sommesso sussurrare”.
Certo, anche la pittura ci dà la poesia, l’anima degli animali. L’Omero ne è stato il glorioso Palizzi. Gli animali ci suggestionano, nel profondo dall’anima nostra, quando ci pare che essi sentano più di noi la passione della vita, soffrano con maggior pazienza di noi, amino con fedeltà più costante di noi, si rassegnino alla morte con dolci occhi, che ci commuovono. Talvolta sembra che siano più animati di noi.
“Dormono i vetturini scamiciati
vinti dalla follia canicolare.
…………………………..
Un ronzino nitrisce cen tristezza
e batte forte l’unghia sul selciato”.
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Ma la pittura non può dare tutto lo strazio di questo grido, quando il bifolco cade colpito d’insolazione:
“guardano i buoi dall’iridi pacate,
fermi, poi danno in un muggito strano
che sembra quasi un tetro grido umano…”
L’aria infuocata di estate sembra un immenso forno che fucina la vita; n’escono lampi e
sprizzi che annunziano la ripresa dell’attività instancabile:
“nell’ardenza del sole meridiano
le bardature lanciano barbagli
e risuonano tinnuli i sonagli
dei cavalli che guardano lontano…”
La sola pittura non può dare la poesia dell’erotisino sognante; ci vuole la melodia, il fantasma alla Di Giacomo:
“il viola della sera – sera di primavera
d’irrealtà riveste – le figure modeste
delle donne ciarliere…,…
Rosina s’allontana – col secchio già ripieno
e le mareggia il seno. Il fonte, che è un galante
poeta roccocò, sospira ognor: clof, clof, clof.”
e come è ineffabile la visione della casa antica ora abbandonata:
“non più balletti e trilli di risate.
Ora vegliano muti ed accorati
in severo consesso gli antenati
dalle pareti mezzo logorate…”
Col nostro pensiero contempliamo il passato. Una fontana di pietra nel paesaggio boschivo ci può dar la scena di una tragedia in una cornice grandiosa:
“nessuno ode la bella
che piange e si dispera
da quasi secent’anni”.
In questo genere la nostra villa reale di Quisisana è un grandioso argomento sinfonico:
“Le fontane del Re sovra il piazzale
ove sognano i platani giganti
spandono intorno un’eco lamentosa”.
Ma quando la nostra umanità si complica nel destino, che ci trae al progresso, la poesia irraggia motivi, che non può darci la semplice pittura: qual raggio di vita pei ragazzi di un paese è la maestrina che viene dalla grande città vicina:
“la maestrina ha lasciato la scuola
per ritornare alla grande città.
Ed or la strada campestre cammina
in mezzo ai prati e al granturco maturo
senza il vociare dei vispi bambini…”
Gli uomini negli anni maturi s’acquetano immobilizzandosi, ma la vita irrompe sempre più indomabile verso il mondo lontano, verso l’avvenire; il vecchio marinaio accorato guarda la gioventù:
“ma quando col maestrale del meriggio
ebbri e sonori di spensieratezza
disancorano i giovani velieri,
cigola il vecchio legno mercantile
come preso da grande accoratezza;
passa nell’aria il vento tentatore,
l’acqua ciangotta ed entra nella stiva”.
Il mare proteso verso l’immensità, pronto alle iniziative della vita giovine, è il più chiaro simbolo del risorgere ineluttabile della vita:
“ma d’improvviso sovra il bigio mare
giunge il vento armonioso di canzoni
e sembra che tutte le imbarcazioni
freman dall’ansietà di navigare”.
Allora dalle case allineate dormenti nel piccolo paese balza l’anima giovanile di Colombo, che è sopita in ogni cuore:
“nel porto ingombro quattro ciminiere,
ferme come giganti alla vedetta
si stagliano nell’aria, torve e nere.
Lenta, naviga al largo una goletta.
Ridente, sovra il dolce lungomare,
il paese dei mici ozi beati
con i suoi palazzotti allineati,
sembra che stia in silenzio a contemplare”.
Certo il poeta sente la nostalgia dell’antica quiete romantica e protesta contro le industrie brutali, che invadono i paesaggi dei nostri sogni: per esempio sull’antico piazzale:
“non odo più le voci dei fanciulli,
non vedo a sera passeggiare i vecchi,
odo solo l’ansare dei motori,
vedo solo un’immensa gabbia nera”.
Il nostro giovine poeta sente anche la complessa sinfonia della passione mondiale che trova le sue radici nei sogni delle vie di Capri: una sinfonia romantica è la ballata per l’isola della leggenda, spiegabilmente cosi piaciuta al Cerio, che è lo spirito più rappresentativo della Sirena:
“tutta l’isola fu un rogo:
nella notte senza stelle,
senza luna ne biancore,
venne un legno di corsari
che ti uccise per… amore”.
Quanta poesia suona e splende le sere del mese di Maria dentro e intorno le chiesette del vasto mondo:
“e nella sera quanti calabroni
ronzano sulle rose già sbocciate!
Quanti testardi e teneri frosoni
seguono le fanciulle innamorate!”
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Ora mi pento di avervi tanto indugiato a legger voi intere queste poesie, mutilandole.
Quanti più motivi e seduzioni troverete in questi quadretti. Io dovevo limitarmi a definirvi
solo la poesia.
Lo farò con un ricordo personale. Un trentott’anni sono, vivevo in quotidiana comunione con Gabriele D’Annunzio. Il poeta, prima di mandare a Treves le pagine manoscritte del Poema Paradisiaco, per sentire la mia impressione, volle recitarmene una, Consolazione, che secondo me è la più bella delle sue poesie, anche delle sonore e fastose Landi.
Obbligato a formulare con una parola la mia impressione essenziale, dissi: è impalpabile!
Questa definizione mi ritorna leggendo le poesie di Piero Girace.
Tutti i motivi del mondo e della vita, colori, suoni affascinanti. Erotismo sognante, riverberi del passato, soli dell’avvenire, da questi quadretti penetrano nell’anima, senza che ve ne accorgiate, senza che le parole vi sembrino dure o sonore, e artificiosamente o magistralmente messe insieme: è una poesia impalpabile!4
Quisisana, luglio 1931 UGO CAFIERO
Articolo terminato 26 febbraio 2023
- Leggi: Un giornalista d’altri tempi, di Raffaele Scala. ↩
- Piero Girace, Le Acque e il Maestrale, pag. 144, nella versione del 1961. ↩
- Aldo Chierici, Il quarto potere a Roma: storia dei giornali e dei giornalisti romani, Roma, 1905, pag. 329. ↩
- Piero Girace, La fontana di Pietra, La biblioteca fascista 1931, pag. 2-6. ↩