Un Arabo di Domenico Morelli
a cura di Giuseppe Zingone
Nel proseguo della mia ricerca sulla famiglia Girace, mi sono imbattuto in un articolo tratto dal Giornale “La Valigia“, a firma Francesco Girace, padre di Piero. Lo stesso si rifà ad un brano che il nostro critico d’arte pubblicherà nel suo “Le Acque e il Maestrale“.
Il brano corredato di importanti documenti che ne attestano la veridicità è: Una serata nella Villa di Morelli.
I CAPOLAVORI DELLA PITTURA MODERNA
UN ARABO
Quadro di D. MORELLI
Dare giudizio a un quadro di Domenico Morelli per quanto si possa essere conoscitori di arte, a me è sembrato sempre qualcosa di supremamente arduo. Appunto perché le pitture di questo grande artista sono di una efficacia così potente, producono nell’animo dell’osservatore un’impressione tanto immediata e profonda, che questi ne rimane come colpito e sorpreso, e si arresta in una ammirazione spontanea, non altrimenti che leggendo i capolavori di Sofocle, di Dante, di Shakespeare, di Byron, leggendo il gran libro della Bibbia, si rimane colpiti di tanto in tanto vivamente da certi passi incisivi, da certe sentenze mirabili, da alcune frasi sublimi, che scuotono vigorosamente l’animo del lettore, che si arresta ad ammirare tutta la profondità sconfinata, tutta la vigoria del sentimento umano, che palpita in quelle frasi.
Così l’opera d’arte che s’impone con la sua potenza estetica, non ha bisogno di dilucidazioni, e si commenta da sé, mentre l’osservatore ne ritrae naturalmente quelle riflessioni e quei commenti che esso esprime con la sua muta eloquenza.
Sunt Lacrimae rerum!1
E’ sempre la vecchia sentenza oraziana che trova un’applicazione logica e positiva in tutti gli svolgimenti della grand’arte del vero, attraverso i secoli ed i popoli.
Sono lo cose che, nella loro verità e potenza artistica parlano da sé, senza bisogno delle riflessioni convenzionali e manierate di un’arte accademica, che ha fatto il suo tempo; è la natura vergine, che, colta dall’occhio artistico nel suo lato estetico, si manifesta con tutte le sue voci segrete, con tutta la sua espressione genuina, con tutto il suo dramma, il quale deve necessariamente trovare un corrispondente riscontro nel sentimento naturale di chi legge o osserva.
Questo requisito e questa finalità artistica, che oggi comincia ad essere compresa con una certa efficacia dagli artisti della penna, sono indispensabili, conditio sine qua non nell’arte della pittura e della scultura. Senza di che esse non avrebbero ragione di essere, o tutto al più cesserebbero di essere arti, perchè altrimenti non corrisponderebbero affatto alla loro finalità.
Queste riflessioni sorgono spontanee nell’animo mio, sempre che mi trovo di fronte ad un
quadro del Morelli e tanto più osservando la figura dell’ «Arabo» che illustra una pagina di questo giornale.
Che cosa esprime questo dipinto? I lettori lo vedono da sè stessi, senza che io sciupi la loro impressione descrivendolo. È qualche cosa di perfettamente bello e magistrale è qualche cosa che da sè stessa senza sottintesi lambiccati, riesce un’opera d’arte vigorosa, potente. È l’arte per l’arte nel suo significato più vero e più corretto che si manifesta splendidamente e sfida tutte le critiche. L’espressione vera naturale che l’artista ha saputo imprimere in tutta la figura di quest’«Arabo», studiata in tutta la naturalezza del tipo semitico, ci rivela di quali effetti mirabili può essere capace la grande energia e robustezza severa del disegno di Morelli.
Egli ci fa vedere evidentemente come, mercè la po tenza dell’arte, che si specchia nella natura con riflessione profonda, si possono trovare espressioni ineffabili anche in quelle figure che sembrano non averne.
Basta guardare il viso di quest’«Arabo» che canta sul suo salterio con tutta l’espressione di una beatitudine infinita e deliziosa, che produce in lui la musica del suo istrumento, per rendersene persuasi per convincersi come il bello è sparso nel vero, ovunque nella natura, e l’artista con l’intuizione del genio sa rivelarcelo in tutta la sua sublimità con la maestria del pennello, che ritrae l’insieme, come gli accessori, con tutta l’efficacia del vero.
Da quest’«Arabo» noi impariamo qualche altra cosa. Impariamo a persuaderci come quella vigoria di disegno a grandi tratti quasi ad impressione, che costituisce la caratteristica più netta della nuova scuola creata dal Morelli con grande merito, si fa da questi precedere sempre da uno studio paziente, lungo, profondo sulla natura storica e fisiologica della figura che ritrae sulla tela.
Così egli che venne detto il «pittore della leggenda», perchè ritrasse il soggetto de’ suoi quadri più importanti dalle tradizioni leggendarie, scrutò con osservazione immensa nel tenebrìo del cristianesimo, fece una ricostruzione storica di questo con osservazione accurata da naturalista, e ci dette la «storia della leggenda», spogliò questa da quanto la circondava di convenzionale, e ce la espose in tutta la sua verità naturale, con la quale non cessa di essere ugualmente sublime, poetica commovente.
Egli che illustrò mirabilmente varii episodii del nuovo testamento e delle leggende cristiane, ci rivela sempre come in queste palpitino uomini come noi, che amavano, odiavano ed avevano tutti i sentimenti umani che abbiamo noi, e che avranno tutti gli uomini in avvenire, in tutti i tempi più lontani e fra tutti i popoli.
Solo comprendendo da tale punto di vista l’opera d’arte, essa può aspirare all’immortalità, giacchè il sentimento della natura vergine dell’uomo è immutabile e trova negli animi un riscontro profondo in tutte le epoche quando è ben sentito dall’artista ed egualmente espresso da questi.
La moda invece è passeggiera e tutto al più può darci una pallida reminiscenza dell’ambiente e delle consuetudini di una data epoca.
Dante, Shakespeare, Sofocle, gli scrittori della Bibbia, si inspirarono, producendo le loro opere d’arte nella natura genuina; approfondirono l’animo umano e ce ne esposero con evidenza scultoria le passioni e le accidentalità. Perciò qualunque sia la forma artistica che esprime quei sentimenti, questi produrranno sempre il loro effetto potente nel cuore umano, che sarà eternamente formato nello stesso modo; riveleranno sempre la loro efficacia naturale, nonostante la forma esteriore, che non sempre corrisponde ai tempi e così le opere d’arte avranno in ogni epoca una vita giovane e imperitura.
A tutto ciò io penso sempre che mi trovo di fronte ad un quadro di Domenico Morelli, il più grande artista del vero, del bello, del sublime, che oggi onori l’Italia; a ciò ho pensato osservando la figura dell’«Arabo» che illustra questo giornale.2
F. GIRACE
Articolo terminato il 15 maggio 2024
- E’ il verso 462 del primo libro dell’Eneide ed è considerato il punto più alto della poesia di Virgilio. Enea è approdato sulle coste cartaginesi, dopo una terribile tempesta. Con l’amico Acate sta per incontrare Didone e, nell’attesa, attraversa il tempio di Giunone: sulle pareti, affreschi che raffigurano incendi e distruzioni, si riferiscono alla drammatica fine della sua città, Troia. Non sa trattenere le lacrime.
…..sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt.
…..Sono le lacrime delle cose e le cose mortali toccano i cuori. Tratto dal sito Controvento articolo di: Annamaria Sessa. ↩ - La Valigia, giornale illustrato di viaggi e varietà, Anno X, numero 5 del 29 Gennaio 1888, pag. 3-6. ↩