Un laboratorio di corallo a Castellammare
di Giuseppe Zingone
Ad angolo tra via Catello Fusco e via Denza, dove oggi c’è una gioielleria, esisteva uno dei più grandi (se non il primo) ferramenta di Castellammare, Scognamiglio. Sempre affollato di gente, professionisti del mestiere o semplici padri di famiglia che abbisognavano di ricambi e materiali, per i piccoli e i grandi lavori di casa. Scognamiglio soccorreva tutti con le sue merci. Da bambino ne ero affascinato, tutti quegli scaffali, i cassettini con i prodotti messi in esposizione ed i corridoi nei quali si perdevano e riaffioravano gli addetti del negozio, e dove ingenuamente pensavo che come magici folletti, questi commessi, costruissero tutto ciò di cui facevamo richiesta in un attimo.
Altri tempi naturalmente, oggi tutto avviene comodamente tramite Amazon che va incontro a tutti quelli che sono in cerca di risparmio o che per pigrizia e semplicità preferiscono farsi arrivare a casa quello di cui hanno bisogno.
La famiglia Scognamiglio ha buone radici nella nostra città e questo cognome è molto diffuso nel napoletano specialmente nella città di Torre del Greco come vedremo. Il signor Paolo Scognamiglio, nasce a Livorno nel 1857 e sposa una stabiese Anna Esposito Cesariello. Gli attuali eredi nella persona della signora Anna Faiella, hanno ricostruito la storia della famiglia.1
Proprio in questa storia, troviamo un interessante documento storico, un disegno dell’Architetto Giuseppe Vanacore che indica il luogo in Castellammare dove sorgeva un laboratorio di Corallo. Così scrive l’autrice: Dal matrimonio di Luigi Scognamiglio e Fortuna Esposito Cesariello, celebrato l’11 Novembre 1865, nacque a Torre del Greco il 23 Novembre 1866 Vincenzo Scognamiglio (padre di Paolo). Paolo e Luigi Scognamiglio, armatori, svolsero la loro attività tra Torre del Greco e Portici dove avevano un negozio di generi navali al Granatello. Nel 1883 si trasferirono a Castellammare con le loro famiglie, nella casa al Corso Vittorio Emanuele costruita, su una preesistente fabbrica di corallo, sotto la direzione dell’Architetto Giuseppe Vanacore.
Passando a rassegna un po’ di letteratura sui coralli, si scopre che la Campania non è ricchissima di queste comunità di esseri viventi. Il corallo (Corallium) in realtà si compone di piccolissimi polipi, la cui parte scheletrica e resistente è stata usata nei secoli per realizzare monili e piccole sculture, oggetti d’artigianato molto richiesti in Francia e in Europa.
Oltre che nel Mediterraneo, il corallo rosso è diffuso anche in alcune zone dell’Atlantico.
Il corallo nella simbologia
Gli eruditi de’ passati secoli, e sopratutto il Salmasio ed il Budeo, cercarono la etimologia del vocabolo greco corallion, corallo, dal modo come l’han trovato scritto appresso gli antichi autori. Dionisio ha usato dire couralion, e dipoi fu scritto da Esichio corallion. Certo è che Eustazio interpetrò questo vocabolo core alos, fanciulla del mare; perciocchè si credea dai Greci esser nato il corallo dal sangue della Gorgona.2
Ovidio narra, che dopo l’uccisione di Medusa e la liberazione di Andromeda, Perseo posò la testa della Gorgone su uno strato di ramoscelli tratti dal mare, per evitare di appoggiarla direttamente sulla ruvida sabbia. I ramoscelli, essendo porosi, assorbirono il sangue del mostro indurendosi. Le ninfe del mare, accortesi del prodigio, ripeterono l’esperimento con altri rametti e li fecero moltiplicare gettandone i semi nel mare. Di qui, secondo Ovidio, la proprietà del corallo di essere morbido sott’acqua e di pietrificarsi a contatto con l’aria.
Nella Roma antica e nel Medioevo, al corallo sono state attribuite proprietà curative. Si riteneva inoltre che avesse il potere di allontanare il malocchio. Plinio racconta che si era soliti mettere al collo dei bambini dei rametti di corallo come amuleto conto i pericoli. Simili qualità apotropaiche, vengono ereditate dall’iconografia religiosa, che nelle scene della Madonna con il Bambino raffigura un rametto di corallo al collo o in mano a Gesù proprio in segno di protezione.3
Tra le fonti di commercio quella ittica, è stata da sempre la più importante e fruttuosa sin dall’antichità, affiancata dalla pesca delle spugne e dei coralli.
A Torre del Greco, la lavorazione del corallo è un’arte antica ma ancora viva, un luogo d’eccezione che aveva una propria scuola che oggi è stata preservata dalla tradizione, confluendo nella storia dell’Istituto statale d’arte Maria Principessa di Piemonte, oggi Istituto Superiore Francesco Degni, sempre a Torre del Greco, troviamo un importantissimo Museo del Corallo e del Cammeo.4Tra i documenti di una certo rilievo storico sono da annoverare lo Statuto della Real Compagnia del corallo stabilita da sua Maestà per lo commercio di una sì ricca mercanzia di pagine 36; ed il Codice Corallino o regolamento economico legale pe la pesca de’ coralli che si fa dai marinai di Torre del Greco di pagine 59, entrambi editi dalla Stamperia Simoniana nel 1790.
I sacrifici degli uomini dediti alla pesca del corallo, oggi non sono a noi più noti, eppure basta fare un rapido salto indietro nel tempo e recuperare due brevi testimonianze che rivelano i grandi sacrifici di questa gente. Achille Gigante nel suo Viaggio da Napoli a Castellammare scrive: Intelligente, arrischiato e sofferente di tutti i disagi è il marinaio torrese, o ch’egli si eserciti alla pesca comune, o ch’egli ne vada nelle acque di Sardegna o nelle coste di Barberia per la pesca del corallo. Essi partono in marzo e ritornano in patria verso la metà di ottobre. Sette mesi di volontario esilio e di penose privazioni per buscar poco danaro, non toccando di profitto ad ognuno di essi che un quaranta cinquanta ducati. Dugento venti barche ne sono partite in questo anno, (1844-1845 n.d.r.) con circa duemila persone, portando ognuna di esse da otto uomini a dieci. E questo commercio intanto così penoso e difficile, che toglie ogni anno alla Torre più decine di validi e arditi marinai, questo commercio, io diceva, dà a quattro o cinque famiglie più e più migliaia di ducati all’anno di lucro.5Al fianco di questa operosa fiumana di marinai torresi, è molto probabile vi fossero anche barche stabiesi, o semplici marinai che venivano assoldati da armatori torresi per recarsi alla caccia del prezioso oro rosso, in Sardegna, Sicilia, finanche in Tunisia.6
Ogni anno, ai primi di marzo, arrivano ai porti sardi di Alghero, Bosa e Santa Teresa di Gallura le “flottiglie del corallo” provenienti dalla Campania: Torre del Greco Ponza, Castellammare. Sono grossi barconi con equipaggi di una decina di uomini che, appena attraccati a destinazione “escono” al largo, tutto i giorni di mare buono, per decine di miglia.7
Sono siciliani del trapanese (isole minori comprese), stagionali del tonno; o napoletani (di Castellammare e Torre del Greco), stagionali del corallo, che si trasferiscono in quelle basi tra la primavera e l’estate grazie a contratti di concessione emessi dal bey (signore attribuito ai capi di piccole tribù) di Tunisi e dal dey (indica il reggente usato fino al 1830) di Algeri.8
L’altra testimonianza di natura medica, per così dire, ci viene dal Trattato delle acque acidule che si trovano nella città di Castellammare di Stabia, di Raimondo Di Maio: A me pure toccò la sorte, non ha molto di pratticarla, benché differentemente in un male consimile con effetto mirabile, e non mai aspettato. Un povero Cittadino d’anni venti in circa, solito da figliolo a mangiare cibi salsi,9venuto da luoghi vicini alla Sardegna, ove con altri compagni stato era sette mesi a pescare coralli s’infermò di putrida febbre, da cui mediante l’emetico, replicati purganti, e l’acqua nevata dopo venti giorni si liberò.10
Compartimento Marittimo di Napoli
Le notizie avute intorno al litorale del compartimento marittimo di Napoli sono più vaghe di quelle fino ad ora trascritte. Vuolsi che in antico esistessero zone corallifere in diversi punti della costiera e che la pesca del corallo vi fosse assai in fiore. Si citano, fra altri, un editto emanato nel 1333 da Re Roberto D’Angiò che proibiva la pesca del corallo fra l’isola di Capri e la punta Campanella; altro editto in virtù del quale fino dal 1418 i pescatori di Trapani erano autorizzati ad esercitare la loro industria nelle acque napoletane senza pagare dazio e tributi. Il Balsano racconta che nel 1836 vi sia stata fatta ancora una pesca di molte cantaia napoletane del prezioso prodotto.11
Compartimento marittimo di Castellammare di Stabia12
In pochi luoghi dell’esteso litorale appartenente alla giurisdizione di Castellammare di Stabia esistono tracce di corallo. Sulle alture di Torre Annunziata, di Castellammare e degli altri comuni che si susseguono fino alla punta della Campanella non si è mai esercitata la pesca e non si ha notizia che vi esistano banchi o scogli.
Nella costa poi del golfo di Salerno, tra la campanella ed il capo di Concamarini, è più propriamente dalla punta di Montalto per gli isolotti dell’Isca, Vivara e i Galli fino al capo sottile, poco oltre Praiano, si esercitò un tempo e con profitto la pesca del corallo.
Zona corallifera di Nerano e degli isolotti Isca ed I Galli. Nella Marina di Nerano (Massalubrense) trovasi uno scoglio sottomarino conosciuto sotto il nome La Montagna e più oltre i banchi che prendono nome dagli isolotti sopradetti, un tempo assai abbondanti di corallo. Si trovano alla distanza da 2 a 4 miglia dalla costa, ad una profondità da 100 ai 250 metri, in un fondo generalmente roccioso e su brevi tratti coperti di fango.
Primi a sfruttare i detti banchi 40 anni addietro furono i pescatori di Torre del Greco ma poiché il corallo era minuto di qualità inferiore a poco per volta abbandonarono quella località ai pescatori di Ischia di Massa Lubrense, Positano, e Praiano costoro continuarono la pesca per diversi anni impiegando di 23 o 24 barche di due o tre tonnellate ognuna da aprile ad ottobre. Vi pescavano in media da 60 a 70 kg che vendevano a negozianti torresi o livornesi con poco profitto.13Rimasta sfruttata questa zona ed i pescatori soverchiati dalla concorrenza del corallo raccolto abbondantemente in Sardegna ed in Sicilia vi abbandonarono del tutto la pesca.
Negli anni 1880 e 1881 alcuni pescatori di Nerano pretesero di aver scoperto nuovi banchi di corallo in quelle località; vi accorsero molte barche, ma ben presto si constatò che il corallo raccolto non proveniva né da banchi nuovi né da diramazioni di quelli prima di ora conosciuti; si trattava di corallo scadente staccato all’epoca in cui la pesca era ancora in fiore. Provetti pescatori dei comuni litoranei all’uopo invitati considerando estinti i polipi non vollero fare esperimenti per quanto quei banchi da 8 o 9 anni siano rimasti in riposo. Scogli di Capri: altri piccoli scogli esisterebbero intorno all’isola di Capri. 10 anni orsono una barca intraprese la pesca in quelle acque e vi raccolte da 40 a 50 kg di corallo chiaro con poco guadagno, per cui anche colà ebbe a cessare tale industria.14
Pesca sui banchi di Sicilia
Alla pesca del corallo sui banchi di Sciacca occorsero nell’ultima campagna numero 58 barche della portata complessiva di tonnellate 918 con 717 persone di equipaggio, delle quali 692 appartenenti al compartimento marittimo di Napoli, 11 a quello di Castellammare di Stabia, 12 a quello di Gaeta e due all’altro di Porto Empedocle.15
Interessanti articoli sull’Industria italiana del Coralli si trovano nell’Album della Esposizione Universale di Vienna, del 1873 edito dai Fratelli Treves nel 1874. Tanto da meritare più articoli nel numero 16 a pag. 122; nel numero 17 a pag. 135; nel numero 19 a pag. 146 e successivi.
In particolare nel numero 19 alla pagina 147, ci sembra importante annotare l’esistenza di un incalcolabile indotto che proliferava grazie alla pesca ittica in generale ed a quella dei coralli in particolare. Un numero impressionante di uomini, artigiani e professionisti di cui i paesi della Campania e della nostra Castellammare possedevano in abbondanza, andavano a costituire un unico corpo, in gran parte scomparso con il venir meno della pesca; sostituita da tutte quelle attività industriali che erano meno rischiose e che assicuravano di sbarcare un più sicuro lunario. Quelle stesse aziende, ironia della sorte, anch’esse oggi in crisi, la cui manodopera finisce per dover cercare lavoro all’estero. Da un lato la mancanza di lungimiranza politica (il cui unico interesse è il qui ed ora, di voti e poltrone) ma anche la mancanza di coraggio dei datori di lavoro che non sono in grado di riconvertire e ricollocare le proprie aziende anche a livello locale, sostenendo spesso cicli lavorativi obsoleti che tradiscono un falso attaccamento alla tradizione che in realtà è sempre più dimenticata.
Industrie delle quali si giova quella del Corallo
Industrie navali: La costruzione delle barche coralline è tutta speciale; perché esse non si adoperano se non per la pesca dei coralli, e vanno in disarmo terminata la pesca, restando per 4-5 mesi inoperose sulla spiaggia.
Industria dei cordami: ognuna delle 422 barche le quali nel 1873 hanno lasciato la rata di Torre del Greco, dovrà consumare circa 25 quintali di cordami. La maggior parte di questi cordami consiste in spago appena filato, di cui marinai si fanno delle reti grossolane, che adoperano per la pesca del corallo punto vi uniscono ancora delle vecchie reti da pesca da pesci chiamati ronzinelli, di cui ne consumano circa 2 quintali.
Velai: come per gli altri legni addetti alla navigazione, quasi tutti gli anni bisogna rifornire di velame le barche, le quali tengono il mare per sette o otto mesi dell’anno.
Bozzellai e calafati: d’alberi di bozzelli e simili arnesi si riforniscono annualmente le barche, ognuna delle quali ha bisogno altresì di 15 remi.
Gallettai: non esitiamo a dire che una gran parte del pane (gallette) che si fabbrica a Castellammare è consumato dalle barche coralline di Torre del Greco, ognuna delle quali per il bisogno di 10 a 13 persone di equipaggio ne consuma da 28 a 30 quintali. Per non essere prolissi non parliamo dei falegnami, tintori, catramai, e di tanti piccoli mestieri e commerci, dei quali si giova questa industria.17
Le materie prime occorrenti alla confezione od all’esercizio delle dette barche sono tutte di origine italiana eccetto mi sembra il ferro, la pece, e il catrame.
Lavorazione del Corallo
Falegnami: per la costruzione dei banchi per tagliare, bucare, attondare, o lavorare altrimenti il corallo; per far casse, sia per riporvi il corallo grigio, sia per rispedire il Corallo lavorato, occorrono i falegnami.
Grosse lime, tenaglie, spade a denti, lime piccole, bulini, fusellini, aghi: tutti questi arnesi sono necessari per la lavorazione del corallo due punti delle piccole lime e degli aghi specialmente si fa un consumo di qualche importanza. Le tenaglie e i fusellini si costruiscono tutti in Italia; gli altri arnesi ci pervengono dall’Inghilterra e dalla Germania.
Ruote di pietra arenaria: per abbozzare e attondare i coralli occorrono molte ruote del peso di mezzo quintale a un quintale. Queste sono spedite quasi tutte dall’Inghilterra e dalla Francia se ne fanno pure da noi nelle province meridionali ma sono di una qualità pochissima atta al lavoro del corallo.
Filo blu e cotone celeste bianco: per infilare e preparare i coralli, cioè per farne mazzi, occorrono parecchie decine di quintali di filo somministrato da fabbriche italiane, eccetto una piccola quantità di refe più fino che è inglese.
Seta e carta: anche di questi prodotti dell’Industria nazionale si fa grande consumo per preparare e involtare i pacchi del corallo.
Buste ed astucci: Moltissimi se ne adoperano per riporvi gli articoli di lusso, o bigiotterie, montate in oro, o in altri metalli.18
Alcuni dati su barche e pescatori del Compartimento di Napoli e Castellammare nel 1871
Mentre infatti le statistiche sovradette attribuirebbero ai due compartimenti marittimi di Napoli e Castellammare di Stabia insieme riuniti 2366 pescatori e 1792 barche, si è invece rilevato dall’inchiesta or ora ricorda che il golfo di Napoli, il quale comprende il compartimento di Napoli e una parte soltanto di quello di Castellammare, ha ben 4000 battelli e 12000 pescatori, senza contare i 3000 che sono addetti alla pesca del corallo, e pur tacendo dei pescatori di molluschi che, nella sola città di Napoli, toccano i 500; e mentre le statistiche medesime darebbero al compartimento di Castellammare, separatamente considerato, 410 pescatori, l’inchiesta ha chiarito come ne abbia 2447.19
Secondo i dati del Ministro della Marina nel 1885, Benedetto Brin, rispetto alla lavorazione del Corallo, si legge: Questa industria ha una notevole importanza, non solo pel numero degli operai che sono occupati nella lavorazione del corallo, ma anche indirettamente pel ragguardevole numero di pescatori che prendono parte alle campagne coralline. Centro di quest’industria nella provincia di Napoli è Torre del Greco. Nel 1885 partirono da quel porto per la pesca del corallo 58 navi, che pescarono 203.000 chilogrammi di corallo; nel 1886 il numero delle navi ascese a 85 e la pesca totale, fu di 425.000 chilogrammi; nel 1887 il numero delle navi discese a 51, con 561 uomini di equipaggio, e il corallo pescato fu di 306.000 chilogrammi, del valore di lire 1.009.800, al prezzo medio di lire 3.30 al chilogrammo.
Nel 1888 le navi partite da Torre del Greco per la campagna corallina ascesero a 103 con 1130 uomini di equipaggio; il corallo pescato fu di 515.000 chilogrammi, che al prezzo medio di lire 2,70 al chilogrammo diede un importo totale di lire 1.390.500. Detraendo da questa somma le spese sostenute per la pesca, montarono a lire 875.500, si ebbe un utile netto di lire 515.000. Per effetto del R. Decreto 20 dicembre 1888, che proibì temporaneamente la pesca del corallo sui banchi di Sciacca, non partirono nel 1889 e nel 1890 da Torre del Greco che poche barche. Nel 1889, le barche partite furono 18, della portata complessiva di 164 tonnellate ed equipaggiate da 182 pescatori. Sei di esse si trasferirono nella costiera di Trapani e altre 12 si diressero in parte alla Maddalena ed in parte ad Alghero. Il corallo pescato fu di chilogrammi 2880, del valore complessivo di lire 98.100, e l’utile netto della pesca fu di lire 98,100, e l’utile netto della pesca fu di lire 86.600, essendo state le spese valutate in lire 11.500. Nel 1890 ne partirono soltanto 6, della complessiva portata di 47 tonnellate e con 53 uomini di equipaggio fra tutte. Esse esercitarono la pesca a Favignana e coste di Trapani, ottenendo 144 chilogrammi di corallo, di cui ignorasi il valore.20
I principali laboratori dediti alla lavorazione del corallo sono nel comune di Torre del Greco, i seguenti: Mazza Giuseppe con 260 operai, D’Amato Vincenzo con 134 operai, D’Elia Giuseppe con 79 operai, Palomba Giuseppe con 74 operai, Santaponte Carlo con 42 operai, Scognamiglio Luigi con 30 operai.
Oltre a queste fabbriche maggiori vi sono nel comune di Torre del Greco 1120 operai d’ambo i sessi, che lavorano per un terzo circa nell’interno di minori stabilimenti, e i rimanenti a domicilio, ricevendo la materia prima in consegna dai fabbricanti.
Nel comune di Napoli vi sono 2 soli industriali che esercitano l’industria della lavorazione del corallo: il signor Piscione Michele, con 26 operai, e il signor Rocco Morabito, con 3 operai.
Finalmente nel comune di Castellammare il signor Scognamiglio Paolo occupa in questa lavorazione 24 operai.
I prodotti di queste fabbriche si smerciano in tutta Europa e in altre parti del mondo, specialmente nelle Indie inglesi.21
Naturalmente come detto all’inizio della nostra ricerca, la maggior parte della lavorazione del corallo avveniva ed ancora oggi ha luogo a Torre del Greco, sono diversi gli artigiani che hanno in comune il cognome del nostro Paolo, la cui origine torrese è assodata da Anna Faiella, sappiamo però che oltre al laboratorio di corallo sovra citato e descritto nella tabella, lo Scognamiglio, aveva anche un negozio e figura tra gli armatori di Castellammare di Stabia essendo proprietario di una tartana dal nome “Le due Sorelle”, del costruttore E. D’Amico e con Attilio Galli come capitano.
Articolo terminato il 25 Luglio 2021
- Anna Faiella, Vittorio Racconta, Ricordi di un viaggio lungo oltre cento anni, Nicola Longobardi, Luglio 2012. ↩
- Pietro Balzano, Il corallo e la sua pesca, Napoli 1870, pag.11. ↩
- Il Corallo in: I Dizionari dell’arte, La natura e i suoi simboli, piante, fiori e animali, Electa 2003, pag. 354. ↩
- Leggi: Il Porto del Corallo, analisi storica del porto di Torre del Greco, Esa editore 2012, pag. 16 e successivi. ↩
- Achille Gigante, Viaggio da Napoli a Castellammare, Napoli stamperia dell’Iride 1845, pag. 59. ↩
- Per poter comprendere la vita di questi marinai consigliamo la lettura di Una famiglia di pescatori di corallo di Pietro Loffredo, Napoli 1967. ↩
- Franco Fresi, Guida insolita ai misteri, ai segreti alle leggende e alle curiosità della Sardegna, Newton Compton, 2015. ↩
- Laura Faranda, Non più a sud di Lampedusa, italiani in Tunisia tra passato e presente, Armando editore, 2016, pag. 28. ↩
- I cibi salsi sono tutti quei cibi, che servivano da nutrimento per contadini e pescatori, così come ben descritti da Giovan Francesco Pugliese: I cibi giornalieri perloppiù sono legumi, salami e salumi, e del sale non solo, come dissi, si fa uso, ma in certo modo abuso. Si mette il sale al pane, alle minestre ed a tutti i cibi; e si fa più uso di carni e pesci salati carichi di pepe forte rosso, che di carni fresche. Una sarda carica di sale e di pepe forte con due pani, una cipolla ed un pugno d’ulive anche salate, formano il pranzo giornaliero di un contadino che maneggia la zappa per almeno otto ore al giorno e più ore al giorno. Questo abuso di cibi salsi ha generato lo scorbuto, l’erpete, e tante altre malattie della cute e del sangue. In: Giovan Francesco Pugliese, Descrizione ed istorica narrazione dell’origine e vicende politiche ed economiche di Cirò in provincia di Calabria Ultra, Napoli 1849, volume secondo, pag. 162. ↩
- Raimondo De Maio, Trattato delle acque acidule che si trovano nella città di Castellammare di Stabia, Napoli MDCCLIV, pag. 130. ↩
- Vedi estratto di: Maurizio Gangemi, Pesce, spugne e coralli: la grande pesca italiana dal Mediterraneo all’Atlantico, da pag. 138 a 184 in Valdo Rienzo e Biagio Di Salvia, Pesci, barche, pescatori nell’area mediterranea dal medioevo all’età contemporanea, FrancoAngeli editore 2010; Ancora: Sulle condizioni della marina mercantile al 31 Dicembre 1889, Roma 1890, pag. 194 e 195. ↩
- Vedi: Indice Alfabetico dei Porti e delle Spiaggie: Il Compartimento Marittimo di Castellammare di Stabia, comprendeva: Acciarolo, Agnone, Amalfi, Atrani, Camerota, Capitello, Capri, Casalicchio, Castellabate, Majori, Massalubrense, Minori, Nerano, Palinuro, Piano di Sorrento, Pisciotta, Puoli, Salerno, San Marco, Sapri, Sorrento, Torre Annunziata, Vibonati, Vico Equense, Vietri sul mare. In: Movimento della Navigazione nei porti del Regno nell’anno 1894, Roma 1895, da pag. 373 a pag. 376. ↩
- La storia della pesca del corallo, raccontata da Achille Gigante, sembra una vicenda moderna, potremmo paragonarla allo sfruttamento delle miniere di rame che avviene oggi in Congo, dove un occidente sempre più affamato di rame, cobalto, litio per la produzione di congegni elettronici, sfrutta le popolazioni locali sottopagate, che per estrarre tali minerali usa quell’acqua che in Africa è un bene preziosissimo, privandosi di un bene primario che per di più, mina anche le loro condizioni di salute e quelle igieniche. Il corallo come abbiamo visto richiedeva enormi sacrifici da parte dei pescatori ed il mercato dell’oro rosso in Italia era gestito da alcune famiglie ebraiche, anche imparentate tra loro, che tramite preventivi accordi, compravano il prezioso materiale primo a prezzi irrisori. ↩
- Il Corallo in: Sulle condizioni della marina mercantile al 31 Dicembre 1889, Roma 1890, pag. 195-197. ↩
- La Pesca del Corallo in: Sulle condizioni della marina mercantile al 31 Dicembre 1897, Roma 1898, pag. 229. ↩
- Sulle condizioni della marina mercantile al 31 Dicembre 1897, Roma 1898, pag. 222-223. ↩
- Regolamento per la pesca del corallo, approvato a Caserta il 29 Gennaio 1856, Art. 2. Ogni feluca o barca corallina, per essere atta a partire per la pesca , deve essere ben munita di provviste di bocca e di attrezzi necessarii. Sono a tale effetto dichiarate provviste di bordo di una barca corallina, e come tali di libera esportazione, i seguenti articoli: 1.° biscotto cantaja quaranta per quelle che si dirigono in Costa d’Africa, e biscotto cantaja trentaquattro per le altre dirette per diversa destinazione ; 2.° paste lavorate cantaja due; 3.° patate cantaja due; 4.° legumi tra fave e fagioli tomola due; 5.° olio staja tre ; 6.° lardo rotola venti ; 7.° sego rotola venti ; 8.° canape lavorato tra spago per reti e funi cantaja ventiquattro ; 9.º remi n.° venti. ↩
- Fratelli Treves, Album della Esposizione Universale di Vienna, del 1873, edito dai Fratelli Treves nel 1874, numero 19, pag. 146-147. ↩
- Sessione 1870-1871 prima, della XI Legislatura, numero 56, Camera dei deputati, Progetto di legge presentato dal ministro dell’Agricoltura, industria e commercio Costagnola, nella tornata del 24 Gennaio 1871, Sulla Pesca, pag. 2. ↩
- Per i dati statisti delle barche andate alla pesca del corallo tra il 1827 ed il 1834, vedi: Pietro Balzano, Il corallo e la sua pesca, Napoli 1870, da pag. 65 a 69. ↩
- Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Napoli, Annali di Statistica industriale, Roma 1891, fascicolo XXXV, numero 53, da pag. 107 a 109. Vedi anche: Pesca del Corallo in: Annuario Statistico Itliano 1887 – 1888, Roma Tipografia eredi Botta 1888, pag. 748 a 750. ↩
Vorrei entrare in contatto con Anna Failla e conoscere quale legami fagliare avesse con Vittorio Scognamiglio di Castellammare di Stabia perché era un cugino della mia nonna paterna, Maria Teresa Esposito Cesariello e all’inizio degli anni ’90 mi ospitò per qualche giorno a casa sua mentre facevo ricerca sulla famiglia di mio padre. Non sapevo che fosse stato pubblicato il suo libro e mi piacerebbe leggerlo.
Gentile signora (presumo). Le immagini della famiglia mi sono state concesse, dall’autrice attraverso un amico comune, il Signor Gaetano Fontana. Non ho avuto il piacere di conoscere personalmente la signora. Ed anche io sarei grato di leggere ed avere un suo libro per intero. Di certo sono a conoscenza del fatto che ancor oggi vivono nell’antica fabbrica, oggi abitazione. Saluti Giuseppe Zingone
Anna Failla è la mia lontana cugina, l’ho contattata giorni fa e mi ha inviato copie del suo libro. La contatti se anche lei ne volesse una copia.