Un settembre stabiese
Aniello Lascialfari racconta
Si ringrazia il prof. Luigi Casale per la preziosissima revisione di bozza
E’ stato bello quest’anno il settembre pieno di sole. Ha fatto accorrere tanta gente ad affollare i nostri lidi ghiaiosi, da dove affiorano scogli sommersi. Ad un occhio attento, al mattino presto o nel tardo pomeriggio prima del tramonto, non sfuggono alla vista branchi di cefali dal corpo affinato e gentile che si muovono in questo specchio di mare pulito, odoroso d’alghe, e alimentato da acque sorgive rese visibili attraverso le bollicine che salgono dal fondo. Queste piccole sorgenti sprigionano grumi solforosi che restano in sospensione nell’acqua finché non si esaurisce la spinta della pressione; per precipitare poi sul fondo sabbioso, creando quel caratteristico strato biancastro che volge al grigio. Per chi si bagna in questo mare è come fare una cura termale per la pelle, che si aggiunge alla globale talassoterapia; oltre agli altri benefici delle vie respiratorie, grazie all’acqua che entra in bocca e nel naso. La battigia è formata da ciottoli come confetti, levigati: una ghiaia che t’invita a sdraiarti e distenderti al sole.
Sì, è stato bello questo settembre. Al mattino dona al corpo frescura, e nel giorno attutisce il caldo che pur resiste, mentre invoglia paesani e villeggianti in ritardo a tuffarsi in questo mare limpido e accattivante per concedersi, piacevolmente, l’ultima nuotata della stagione. Senza la normale ressa estiva nell’acqua, e poi liberamente sdraiarsi sulla ghiaia del bagnasciuga, ormai deserta, ricoperta a chiazze dalla “posidonia” che la risacca adagia sulla riva strappandola ai fondali. Quel venticello che prende piede al largo di Rovigliano ti avvolge regalandoti un po’ di fresco, mentre il sole continua la sua opera ristoratrice offrendo tepore al tuo corpo. Ne approfittano specialmente le donne, le quali con insistenza fino all’ultimo raggio di sole cercano la doratura della pelle, e non hanno problema di ferie. Nemmeno a settembre.
Sì, è stato bello questo settembre. Ancora più bello se si pensa al posto che madre natura ci ha donato per vivere. La piccola insenatura che va dal fiume Sarno fino a dove la montagna si tuffa nel mare per dare inizio alla penisola sorrentina. È una rara gemma preziosa: ‘o ventre d’a vacca. È l’angolo di golfo decantato nei secoli da storici e letterati che hanno descritto l’incanto di questo luogo ameno. Anch’io, figlio innamorato e modesto cantore di questa terra mia, vorrei trovare le parole giuste per raccontare la bellezza di Castellammare: le parole che non sono state ancora dette per sopperire all’inadeguatezza delle tante già pronunciate. Non vorrei mancare di modestia, ma questa città io la vedo come una sirena adagiata su un fianco, allungata nel corpo, la cui sagoma crea la curva della marina, mentre il mare con il suo moto ondoso l’accarezza e la fa bella a tutte le ore, sussurrandole alle orecchie le più belle melodie napoletane, scelte tra quelle composte proprio da musicisti e poeti nati e cresciuti qui, in questa terra madre, come figli.
Sì, è stato bello questo settembre pieno di sole. Specialmente quando lentamente l’astro si abbassa fino a lambire il mare sulla linea d’orizzonte, e il fuoco del tramonto si riverbera sulla superficie dell’acqua. Siamo già in Autunno, e non lo si crederebbe. Il cielo è azzurro. Il sole che tocca il mare sembra quasi parlarmi. Ad alta voce mi dice: “Fermati! Ammira quanto è bello lo spettacolo!”. A questo richiamo mi fermo di frequente, come a voler corrispondere all’invito. E qui da Pozzano, da questo poggio che sa di antico, con la Basilica alle spalle, con questo largo mare che sta proprio sotto il costone di roccia viva, impregnato di sale. Sì, perché quando il maestrale s’arrabbia e si gonfia di spruzzi di acqua marina, li spinge fin quassù, tra questi sassi calcarei su cui e poggiata la piazza e con essa la Basilica. Su queste rocce dove il sole batte più forte hanno attecchito i pini marini e le ginestre che allungano le loro radici fin sotto i platani della strada di Pozzano.
Più scruto l’orizzonte e più mi accorgo che questo si allarga sempre più. Da questo naturale belvedere, quando la foschia lo permette, si può ammirare tutto il Golfo di Napoli con la costa Flegrea e le isole dirimpettaie Ischia e Procida. E si vedrebbe anche Capri se solo non ci fosse ad ostacolarne la vista, quella che era stata la calcara della “Calce e Cementi”. L’orizzonte, tuttavia, si distende al largo, ben oltre la linea immaginaria su cui si appoggia l’isola cosmopolita.
Affascinato da questo scenario, ancora oggi mi sono fermato ad ammirare il tramonto settembrino, col sole che si scioglie nell’acqua a mano a mano e lo tinge di rosso, perde la forza del suo splendore finché lo si può guardare in viso. Mi figuro tutta l’arte del grande pittore, il divino artefice, capace di cambiare il colore della tavolozza del creato ad ogni ora, mentre la giornata volge al termine. Di questo meraviglioso spettacolo della natura, in continuo mutamento, trae vantaggio l’essere umano, rapito da così grandiosa visione. Chi si ferma ad ammirare, infatti, per sua fortuna dimentica gli affanni della vita, e le cattiverie del mondo. Anch’io gioisco e godo quando mi fermo ad ammirare questo tramonto ogni qualvolta all’improvviso mi si para dinnanzi. E mi sento sereno.