Gli anni ’30 a Castellammare
( nei ricordi dello stabiese Gigi Nocera )
Caro Maurizio ho letto il simpatico scritto del Signor Corrado di Martino sul falso Raffaele Viviani. Ebbene io ho conosciuto di persona il vero Viviani, il cui padre era amico di mio nonno, Luigi Suarato e lui stesso, Raffaele, amico di mia mamma, quasi coetanei.
Per quei casi della vita che ti portano a vivere lontano dalla tua città, io giovanotto lasciai Castellammare con i miei genitori moltissimi anni fa. Finita l’ultima guerra mondiale nel 1945 la vita incominciava a riprendere il suo ritmo nella normalità ed anche gli spettacoli teatrali quindi incominciavano a svolgersi regolarmente. Le varie compagnie teatrali ripresero i loro giri artistici portando gli spettacoli nelle varie città italiane.
Non ricordo bene se fosse il 1946 o 1947, a Torino dove vivevo con la mia famiglia, venne per una recita la compagnia del “vero” Raffaele Viviani. Appena mia mamma lo seppe volle che io l’accompagnassi a teatro per vedere il suo amico d’infanzia. Naturalmente l’accontentai e finita la commedia ci facemmo accompagnare nel camerino del commendatore.
Un uomo come me di più di 85 anni di avvenimenti ne ha vissuti; di momenti belli e brutti, tristi e gioiosi, allegri e malinconici ne ha passati, ma il ricordo di quell’incontro mi è rimasto indelebilmente stampato nel cuore e nel cervello per l’intensità delle emozioni che mi procurò.
Per capire quanto sto per descrivere bisogna sapere che da qualche anno Raffaele Viviani soffriva di una malattia che di li a poco lo avrebbe portato alla tomba e che mia mamma non lo vedeva da molti anni. Appena uno di fronte all’altro, negli occhi dell’uno e dell’altra, e sul volto dell’artista appena struccato e su quello di una donna matura lessi chiaramente quale emozioni e quali commozioni si erano impadroniti dei due in quel momento. Lui in piedi, al fondo di quel locale non molto ampio, fermo con le braccia aperte che preludeva ad un commosso abbraccio disse: “Gemmetè, comme si ancora bella! Comme staje?” E l’abbraccio che ne seguì è uno dei ricordi più belle e cari della mia vita. Prima, perché quel complimento che poteva apparire galante, ma che era espresso con sincera affettuosità, era rivolto a mia mamma. E poi perché in quel momento facevo la conoscenza di un grande artista. Un artista che (studiandolo più approfonditamente negli anni seguenti) ha sempre ben rappresentato la vita e l’anima di quel meraviglioso popolo dei disperati, dei poveri, dei lavoratori manuali, di muratori, di pescatori, di zingari e saltimbanchi; in poche parole, dei reietti dalla società. Ma non voglio dilungarmi sulla grandezza dell’artista e del poeta.
Voglio solo ricordare il grande nostro concittadino e quindi ringraziare il Signor Di Martino che me ne ha dato l’occasione. Quello era il “vero” RAFFAELE VIVIANI che ho conosciuto io.
Gigi Nocera