articolo del dott. Raffaele Scala
Premessa dell’autore:
Caro Maurizio, dopo lunga assenza ritorno con una nuova, inedita biografia: stavolta mi sono occupato di Vincenzo Giordano, tra i protagonisti di Piazza Spartaco, la scellerata strage perpetrata dai fascisti causando la morte di sei innocenti nell’assalto a Palazzo Farnese del 20 gennaio 1921 e uno degli antifascisti più perseguitati dal regime di Mussolini, subendo soprusi e violenze di ogni sorta, fino al carcere e la condanna a tre anni confino politico. Una sorte che toccò a molti altri stabiesi, oggi tutti dimenticati. Non vado oltre. Come sempre a te l’onere di decidere sulla pubblicazione di un altro tassello di questo piccolo dizionario del movimento operaio stabiese, cui mi dedico ormai da anni e che proseguirà prossimamente con altri notevoli personaggi della nostra storia cittadina. Al momento non faccio nomi.
Con affetto, Raffaele Scala
Vincenzo Giordano
Il muratore Francesco Giordano (1864 – 1950) aveva sposato a Mercato San Severino il 28 aprile 1888 Giovanna Spisso (1866 – 1933),una ragazza originaria di Castel San Giorgio, portandosela nella sua città, Castellammare di Stabia e andando ad abitare in via Cognulo, nel cuore del Centro Antico, la prima delle tante case che avrebbe cambiato nel corso della sua lunga vita. E nella città stabiese nacquero i primi figli della sua numerosa prole: Agnese, Luigi e Teresa. Intanto aveva trovato impiego nel Regio Cantiere, quando per motivi che non conosciamo fu trasferito nell’Arsenale di Taranto. Norma largamente usata dalla direzione del Regio Cantiere per motivi punitivi, quasi sempre per allontanare sovversivi in grado di aggregare e dirigere i compagni di lavoro allo scopo di intimidire gli altri ed evitare di seguirne l’esempio. Nel lontano novembre 1869 fu usato nei confronti di Luigi Maresca, il capomastro che aveva fondato a Castellammare una sezione della I Internazionale, forte di oltre 500 soci, ispirata ai principi dell’anarchico russo, Michele Bakunin e per questo trasferito nell’Arsenale di Venezia nel giro di poche settimane dalla sua costituzione. Di Maresca, già noto rivoluzionario, non si avranno ulteriori notizie.[1]
Nella città pugliese il giovane Francesco vi rimarrà almeno undici anni prima di riuscire a tornare definitivamente a Castellammare, sicuramente prima del 1908, come dimostra l’atto di nascita di uno dei suoi figli, Giuseppe, nato a Taranto nel 1905 e scomparso il 3 luglio 1910 a Castellammare a soli 5 anni, mentre la primogenita, Agnese, nata nel 1889, muore il 27 febbraio 1908 nella sua casa stabiese di via Salita San Giacomo.
A Taranto, il quartogenito Vincenzo fu il primo della serie pugliese, venendo al mondo il 31 ottobre 1894, seguirono Alessandro nel 1899, Pasquale nel 1901, Umberto nel 1904 e Giuseppe nel 1905. Nel capoluogo pugliese Vincenzo vi trascorrerà interamente la sua infanzia e prima adolescenza. Quando la famiglia tornerà definitivamente nella Città delle Acque si guadagneranno l’inevitabile soprannome di tarantini, nome con il quale ancora oggi sono indicati gli eredi.
Dopo la morte della moglie Giovanna, scomparsa il 6 gennaio 1933, l’anziano Francesco non perderà tempo nel risposarsi nello stesso anno, nonostante i suoi 69 anni, con la 57enne vedova di Giuseppe De Simone, Maria Rosa Martone, originaria di Gragnano, con la quale convolò a nozze il successivo 5 agosto.
Pur avendo frequentato soltanto le scuole elementari, Vincenzo Giordano si dimostrò un ragazzo di svegliata intelligenza ma ben presto costretto ad andare a lavorare per aiutare la numerosa famiglia. Assunto dal Regio cantiere navale il 19 marzo 1914 in qualità di operaio provvisorio e con la qualifica di foratore, fu costretto a licenziarsi per il servizio militare di leva il successivo 23 novembre servendo la Patria in qualità di allievo e successivamente di cannoniere scelto. La dichiarazione di guerra dell’Italia del maggio 1915 portò al prolungamento del servizio militare nella Regia Marina, dalla quale fu congedato il 20 agosto 1919, riprendendo immediatamente il suo posto di lavoro cinque giorni dopo. Un solerte delegato di polizia nella sua informativa scriveva: Giordano è un assiduo lavoratore e nei confronti della famiglia si comporta sempre bene. Stando alla scheda redatta dall’Alto Commissariato per la Provincia di Napoli, Vincenzo non militò in nessun altro partito prima di iscriversi al PCd’I di Amadeo Bordiga, ma era indubbiamente iscritto alla Fiom e alla Camera Confederale del Lavoro stabiese guidata dal suo fondatore, Antonio Cecchi e successivamente dal professore di Lettere, Michelangelo Pappalardi, originario di Campobasso, ma da anni residente a Castellammare.
Nella fatidica data di giovedì 20 gennaio 1921, data memorabile della strage fascista di Piazza Spartaco, Vincenzo Giordano stava asserragliato con i consiglieri comunali socialisti ed un altro centinaio di militanti a difesa di Palazzo Farnese a seguito dell’annunciata manifestazione organizzata dai nazionalisti e dai fascisti contro la decisione della Giunta di sinistra, guidata dal sindaco Pietro Carrese, di modificare il nome della piazza antistante il comune da Piazza Municipio in Piazza Spartaco. In realtà una puerile giustificazione tesa unicamente ad abbattere l’odiata amministrazione socialcomunista, così come stava avvenendo in altre parti d’Italia, dove già si contavano assalti alle sedi dell’Avanti! ed uccisioni di militanti di sinistra, ultima Bologna con l’eccidio di Palazzo D’Accursio del 21 novembre 1920 con undici morti e decine di feriti. Non a caso ad infuocare gli animi e ad aizzare la gente erano, su tutti, i capi fascisti Alfonso Imperati, Andrea Esposito, Luigi Musolino, Paolo Scognamiglio e Mariano Carrese, un ex socialista e antico dirigente del suo circolo giovanile, poi nazionalista ed infine fascista, tra i più arrabbiati.
L’assalto era ampiamente premeditato come dimostrano alcuni episodi riportati nel primo memoriale scritto da uno dei socialisti detenuti, il vice sindaco, Pasquale Cecchi, il futuro sindaco della Castellammare Stalingrado del Sud dell’era repubblicana. Scrive Cecchi dal carcere mandamentale il 25 gennaio 1921: Vincenzo Giordano recatosi dal parrucchiere Catello Martorano per tagliarsi i capelli sentì dirsi queste parole: fatti solo la barba, i capelli è inutile perché domani morirai. Nel testo sono citati diversi testimoni presenti al fatto.[2]
Castellammare di Stabia come Bologna, con sei morti e cento feriti, i fatti sono troppo noti per ripeterli in questa sede. Verso le sei di sera, i socialisti rinchiusi nel Municipio, in segno di resa aprono i battenti del portone per far entrare le forze dell’ordine procedendo all’arresto di circa 150 persone, ammanettate e rinchiuse nel vicino carcere mandamentale di Salita San Giacomo. All’arresto riusciranno a sfuggire sia Vincenzo Giordano, sia Vincenzo Paragallo, altro militante dalla condotta ai limiti della legalità, dandosi entrambi alla latitanza, salvo costituirsi all’inizio del dibattimento processuale.[3]
Rinviato a giudizio con sentenza del 3 ottobre 1921, con altri 15 compagni, durante il processo Giordano sarà spesso chiamato in causa dal ventenne Francesco Nicotera, un carpentiere del Regio Cantiere, infiltratosi nelle file socialiste per carpirne la fiducia e rendersi utile al partito dell’ordine. Tra le accuse senza fondamento, dimostrando spesso di confondersi e di contraddirsi, dirà di aver saputo da Giordano che il giorno precedente all’assalto nel municipio erano state portate bombe ed armi e di averlo visto, col viso avvolto in una sciarpa rossa, sparare con la rivoltella durante l’assedio delle forze dell’ordine, nel corso del violento scontro a fuoco. Come se non bastasse rincarò la dose aggiungendo di averlo sentito dire che se i fascisti non avessero assaltato il municipio sarebbero stati loro a scendere in piazza e devastare i negozi dei commercianti, questo esempio avrebbe incoraggiato i compagni di Torre e Napoli a fare altrettanto.[4]
Nel corso del processo, il settimanale comunista, Il Soviet pubblica un profilo dei quindici detenuti, qui se ne stralcia quello inerente a Vincenzo Giordano:
Giovane energico, si rese latitante per non sopportare il carcere preventivo. All’inizio del dibattimento non ha esitato a costituirsi con la serenità che gli viene dal suo limpido passato.[5]
Le accuse non reggeranno alla prova dei fatti e cadranno l’una dopo l’altra portando alla sentenza di assoluzione del 6 aprile 1922 per tutti gli imputati e rimessi immediatamente in libertà. La sera stessa potranno fare ritorno a Castellammare e quando scenderanno dal treno, nella antistante Piazza Ferrovia saranno accolti da una folla festosa al canto rivoluzionario di Bandiera rossa. Da un palco improvvisato presero la parola il nuovo Segretario della Camera del lavoro, Giuseppe Forcone, Oscar Gaeta a nome dei comunisti e Luigi Vanacore per i socialisti. A nome dei detenuti parlò l’ormai ex segretario della Camera del lavoro, Michelangelo Pappalardi.[6] Il molisano sarà ben presto chiamato a ricoprire la carica di Segretario della Camera Confederale del Lavoro di Napoli, in sostituzione di Antonio Cecchi, costretto suo malgrado a dare le dimissioni dal sindacato e dallo stesso Partito.[7]
Ormai libero, Giordano riprese il suo lavoro nel Regio Cantiere, quando, come tutti gli altri lavoratori dipendenti d’Italia, assaporò cosa significasse il Colpo di Stato imposto da Benito Mussolini e favorito dal pavido e insignificante Re Vittorio Emanuele III. Una delle prime riforme del nuovo regime nero riguardò i rapporti di lavoro, trasformando in lavoro annuale l’impiego a tempo indeterminato con il risultato di essere licenziati d’ufficio e il salario progressivamente ridotto del 20%. Nel caso di Giordano fu licenziato il 1° luglio 1923 per presunta riduzione del personale e riassunto in pari data in qualità di operaio temporaneo con la qualifica di Tagliatore e Foratore. Sotto la spada di Damocle di un licenziamento annuale, e non sempre con la certezza della riassunzione, Vincenzo si sposò il 6 ottobre 1923 con una ragazza di Torre Annunziata, Anna Maria Raiola, dalla quale avrà otto figli, due scompariranno precocemente: la secondogenita Agnese, in ricordo della sorella scomparsa a soli 18 anni nel lontano 1908, un nome che alla neonata non porterà fortuna, morendo a sua volta dopo appena un anno di vita il 25 maggio 1927, dopo essersi gravemente ammalata. Anche il quarto figlio, Anna, nata nel 1932 scomparirà il 27 dicembre 1933 ad appena un anno e due mesi di vita. Chi sopravvive è il primogenito, cui Vincenzo Giordano darà il nome di Woronski, nato il 18 luglio 1924,[8] e la terzogenita Lucia, frutto degli anni vissuti al confino. La nascita di Woronski fu festeggiata nella sua abitazione cantando inni sovversivi con numerosi altri compagni di fede, mentre il suo nome ritornò più volte nelle sottoscrizione all’Unità del 23 settembre a nome di numerosi compagni e compagne del padre e del 24 ottobre 1926, sacrificando una settimana di latte.
Dopo il confino politico nasceranno cinque figli, Bruno, concepito a Lipari e nato l’8 gennaio 1930, Anna di cui si è già detto, nata nel 1932 e scomparsa poco più di un anno dopo, Vincenzo nel 1934, Gennaro nel 1935 ed infine Rita, nata nel 1944.
Il carcere non aveva in nessun modo intimorito Giordano, riprese anzi la sua militanza con maggiore vigoria. I tempi non erano dei migliori: il 28 ottobre 1922, con la farsa della marcia su Roma, favorita dal Re, Mussolini si era preso il potere tanto agognato, mentre nelle strade e nelle piazze d’Italia si combatteva l’impari lotta di una sorta di guerra civile tra le opposte fazioni, dove a soccombere, con i miliziani fascisti protetti dalle forze dell’ordine e dalla stessa impaurita quando non asservita magistratura, erano quasi sempre soltanto i militanti di sinistra. Circa tremila le vittime della sanguinaria violenza fascista cadute tra il 1920 e il 1926. Nonostante tutto, ancora nel 1924, pur subendo intimidazioni di ogni sorta, tra fermi e arresti arbitrari della polizia, minacce e percosse delle squadre fasciste, gli operai stabiesi provarono, sfidando il divieto, a manifestare per festeggiare il Primo Maggio abolito dal regime e sostituito con la data del 21 aprile, Natale di Roma, mentre si sottoscriveva, spesso inserendo il proprio nome e cognome, a favore dell’Unità.[9]
Quando il 17 settembre 1924 Mussolini venne a Castellammare di Stabia in visita al Regio Cantiere furono prese eccezionali misure di sicurezza, sapendo che tra le maestranze si annidavano alcuni tra i maggiori esponenti del sovversivismo locale, da Giordano a Luigi Di Martino, a Raffaele Guida. Non a caso due giorni prima erano state trovate su diverse lamiere scritte contro il Duce e il fascismo. Per tale motivo tutti gli operai, prima dello sbarco di Mussolini, che doveva attraversarlo per intero, furono inquadrati alle dirette dipendenze dei rispettivi capi e messi in un recinto lontano dal passaggio e sotto la vigile sorveglianza dei carabinieri, con l’ordine di non muoversi e di non fare alcuna manifestazione, neanche di giubilo. Ciò non impedì i famosi fischi diventati leggenda.[10]
Ancora nel 1925 la sezione comunista di Castellammare, denominata, “20 gennaio”, poteva riunirsi quasi liberamente il 7 luglio per commemorare le vittime politiche e assegnare ai diversi compagni le relative cariche e nuovamente nei primi giorni d’agosto 1925, procedendo alla nomina del nuovo esecutivo composto da tre vecchi compagni e non a caso l’Unità poteva tranquillamente darne conto nel suo numero del 9 agosto, pur evitando di fare i nomi dei dirigenti eletti.[11] Infatti, come si è detto, l’apparente facciata democratica dietro cui si nascondeva il governo Mussolini non impediva aggressioni e pestaggi nella città stabiese come a Valle di Pompei, Scafati, Torre Annunziata, Torre del Greco, Nocera Inferiore, oltre che nel capoluogo campano.
A Castellammare, in quel bollente agosto del 1925 venivano fermati e perquisiti senza motivo alcuno da squadre miste, composte da carabinieri e militi fascisti, Vincenzo Giordano, Gennaro Attanasio e Catello Martorano. Nei giorni precedenti ancora Giordano veniva aggredito da una squadra punitiva fascista rimasta sconosciuta. Se qualcuno veniva trovato in possesso dell’Unità o dell’Avanti! gli toccava inevitabilmente di passare almeno una notte in carcere, oltre a guadagnarsi olio di ricino e percosse. [12]
Meno di due mesi dopo, il 26 settembre, il giornale fondato da Antonio Gramsci ancora poteva permettersi di pubblicare una corrispondenza in cui dava conto di una riunione di comunisti dell’area vesuviana per discutere, ufficialmente, l’opera da svolgere per la propaganda regionale. Il convegno voleva essere un primo tentativo di riorganizzare il lavoro politico contro il regime, non ancora definitivamente trasformatosi in dittatura. La riunione nacque su iniziativa del napoletano Enrico Russo (1895 – 1973), per coordinare le sparute forze comuniste del circondario vesuviano incontrando in aperta campagna, in località Padula, nei dintorni del fiume Sarno, la sera del 24 settembre, gruppi di militanti di Castellammare di Stabia, Torre Annunziata e Napoli.[13] Il giornale naturalmente non pubblicò i nomi dei presenti ma la corrispondenza fece aprire un’indagine il cui esito portò, nel giro di un mese, all’individuazione dei partecipanti, tra cui i torresi Cataldo D’Oria (1871 – 1929), vecchio e indomabile protagonista della costituzione della Camera del lavoro di Torre Annunziata nel lontano 1901, Antonio Saporito e Tobia Ammendola, mentre Castellammare era rappresentata da Vincenzo Giordano, Antonio Esposito, Aniello D’Orsi, Espedito Lambiase, Vincenzo Caiazzo e Luigi Cuomo. [14] Tra i presenti anche quattro napoletani, di cui uno solo identificato dalla polizia politica, nel capo zona Enrico Russo. Le successive, tardive perquisizioni delle loro abitazioni non portarono, naturalmente, a nessun risultato utile per un’eventuale incriminazione dei sospettati, ma comportò un aumento della vigilanza nei loro confronti.[15] In realtà appena tre settimane prima vi era stato un’altra ben più importante riunione, se non nello stesso luogo sicuramente nella stessa zona, intorno alla Foce del Sarno, ad incontrarsi erano i due carismatici leader del PCd’I Amedeo Bordiga e Antonio Gramsci, con loro una quarantina di militanti della zona torrese stabiese, tra cui Gino Alfani, Pietro Carrese, Espedito Lambiase, Catello Bruno e, probabilmente, anche se non citato, lo stesso, irriducibile Giordano. La discussione verteva sull’imminente III Congresso del Partito da tenersi clandestinamente a Lione nel gennaio 1926, ma su cosa si dissero realmente poco è giunto ai nostri giorni, le stesse vaghe, successive testimonianze di alcuni presenti non illuminano di molto i temi affrontati.[16]
Una ulteriore riunione si tenne nei primi giorni di gennaio 1926 quando i comunisti tennero un convegno regionale in una casa colonica fra le campagne di Somma Vesuviana e Sant’Anastasia. Erano presenti ventisei militanti fra segretari di sezione dei comuni vesuviani, esponenti delle sezioni napoletane ed un rappresentante del Comitato Centrale. Tra i presenti ricordiamo Amedeo Bordiga, Enrico Russo, Federico Mutarelli di Torre del Greco, Gino Alfani e Domenico Estrano di Torre Annunziata e gli stabiesi, Vincenzo Giordano e Antonio Esposito, l’ultimo segretario della sezione comunista, a sua volta noto sovversivo fin dal 1914, già assessore nella Giunta socialcomunista di Pietro Carrese nel 1920, accusato e arrestato con l’accusa di essere l’omicida del maresciallo Carlino il giorno dell’assalto fascista del 20 gennaio 1921.[17]
La stessa riorganizzazione si tentava a livello sindacale, non a caso già nel gennaio di quel bollente 1925 si ricostituiva a Castellammare una sezione provvisoria della Fiom con oltre 2.300 aderenti, la cui composizione vedeva la partecipazione di lavoratori delle altre categorie in collegamento con la Camera del Lavoro di Napoli.[18] Privi di una sede dove potersi riunire, le comunicazioni avvenivano mediante istruzioni ai componenti le cellule dei cantieri e degli stabilimenti, a guidarli i soliti Vincenzo Giordano, Antonio Esposito, Stefano Palmigiano, Gaetano Cuomo e Catello Labriola. La resistenza al nuovo regime si fece subito sentire proclamando un forte sciopero ai Cantieri Metallurgici il 3 gennaio di quel 1925, quando ottantacinque operai abbandonarono lo stabilimento in segno di protesta contro il mancato aumento, così come richiesto dalla Fiom nell’ambito della trattativa nazionale portata avanti dai metalmeccanici ricostituitosi a sua volta a Milano. In sciopero entrarono anche gli operai della ditta Stanzieri, ma qui la risposta aziendale fu dura con il licenziamento di venticinque operai. Altri scioperi si registrarono il 10 agosto dai soliti irriducibili dei Cantieri Metallurgici, chiedendo aumenti salariali, ma il tentativo di organizzare un comizio pubblico fu stroncato dall’intervento della forza pubblica.[19] Non per questo si arresero e continuarono nella loro lotta, rifiutando l’offerta della direzione di dare un aumento giornaliero tra i trenta e i quaranta centesimi. Incuranti del pericolo proclamarono un secondo sciopero di ventiquattro ore per il ventuno e questo bastò per piegare la volontà padronale, costretta ad accettare le richieste operaie offrendo aumenti tra i settanta centesimi e una lira.
Incurante del clima avverso, Giordano riuscì ad attirarsi l’odio fascista per la sua aria sfrontata e di continua sfida alle istituzioni, fino a essere sospettato di complottare contro la vita del Duce, guadagnandosi particolari misure di vigilanza a seguito di una denuncia anonima fatta pervenire alle autorità di Pubblica sicurezza nel febbraio 1926.[20]
Ai nostri compagni – denunciava l’Unità – non è più possibile circolare per le vie cittadine. Gli operai solo perché sospetti comunisti frequentemente sono fermati e perquisite da pattuglie miste da poliziotti e militi nazionali. Se qualcuno di essi è trovato in possesso del nostro giornale corre il rischio di essere tenuto per intere giornate in camera di sicurezza; qualche altro che in pubblico sia notato mentre scambia qualche parola con un comunista si vede fatto segno a un accurata perquisizione. E’ di ieri il fermo e la perquisizione in ritrovo pubblico dei compagni Martorano, Attanasio e Giordano da parte di una delle solite squadre miste. E’ di ieri l’aggressione subita dal compagno Giordano ad opera di militi sconosciuti (…). [21]
Talmente pericoloso da essere arrestato ogni qualvolta si trovava di passaggio qualche autorità, una prevenzione che in alcuni casi colpiva già una settimana prima dell’avvenimento, salvo essere rilasciato dopo la partenza del personaggio. Per l’ennesima volta, quindi, nel maggio 1926 fu tratto in arresto con Antonio Esposito, altra prediletta vittima del fascio locale, fino a quando quest’ultimo non decise di emigrare in Francia facendo perdere definitivamente le sue tracce. [22]
Come se non bastasse, la mattina del 19 settembre 1926, una domenica, mentre Vincenzo Giordano era al Caffè Napoli, fu tratto in arresto e portato in questura per essere interrogato e infine portato in carcere. Stando alla cronaca del quotidiano comunista l’arresto fu dovuto al rifiuto del militante comunista di sottostare a un’intimidazione arbitraria. Nella stessa giornata fu arrestato il contadino Federico D’Aniello, sequestrandogli 125 lire, frutto di una sottoscrizione operaia. D’Aniello, ammogliato con sei figli, era un operaio dei Cantieri metallurgici, già fermato ed arrestato in occasione del 1° maggio di quello stesso anno perché a seguito di una perquisizione fu trovato in possesso di alcuni manifestini. Successive indagini portarono all’arresto degli altri distributori della cellula comunista, il fratello di Federico, Enrico Giuseppe D’Aniello, Carmine Menduto, Vincenzo Ruocco e Luigi Di Martino.
Federico D’Aniello abitava a Santa Maria la Carità, all’epoca frazione di Gragnano, in via Cappella dei Bisi, dove esercitò il mestiere di contadino dopo il suo licenziamento dalla fabbrica. Probabilmente la paura provocata dai continui controlli e perquisizioni furono sufficienti a farlo allontanare dalla militanza politica, fino ad essere radiato dallo schedario dei sovversivi l’11 luglio 1938. [23]
Le perquisizioni andarono intensificandosi nei giorni e nelle settimane successive, ripetendosi con frequenza quasi quotidiana nei confronti di alcuni militanti ritenuti particolarmente pericolosi, senza riuscire a raggiungere lo scopo prefissato. Così la sera del 13 settembre 1926, un lunedì furono fermati ed arrestati Catello Bruno e Catello Martorano, mentre venivano perquisite decine di abitazioni di antifascisti, piantonando diverse case a seguito di un volantino operaio diffuso nella stessa giornata.[24] L’isterismo poliziesco arrivò al punto di indagare e fermare chiunque si accompagnava, anche casualmente, a soggetti già sottoposti a controlli politici, fino a requisire le somme, anche minime, ritrovate nelle loro tasche, trasformandole in prove di attività sediziosa.[25]
Infine, qualche mese dopo, all’indomani del quarto, fallito attentato a Mussolini del 31 ottobre ad opera del quindicenne Anteo Zamboni, trucidato sul posto dalle milizie fasciste, il regime diede libero sfogo al proprio arbitrio, arrestando senza necessità di prova chiunque fosse ritenuto pericoloso per la sicurezza dello Stato. Tra i primi a farne le spese furono lo stesso Vincenzo Giordano, Giovanni D’Auria, arrestati il 7 dicembre 1926 e Antonio Cecchi, fermato la sera dopo, tutti condannati a tre anni di confino politico in quanto considerati tra i maggiori e più pericolosi esponenti del comunismo locale.[26]
Tra le accuse mosse nei confronti di Giordano, ritenuto pericoloso, astuto e audace, vi era una denuncia anonima risalente a febbraio 1926 in cui veniva sospettato di complottare contro la vita di Mussolini facendo scattare nei suoi riguardi specialissime misure di vigilanza.[27] In realtà l’accusa era nei confronti del fratello maggiore, Luigi, che tra l’altro non si era mai occupato di politica e soprattutto non condivideva minimamente le idee sovversive di Vincenzo. Secondo successive indagini effettuate dallo stesso commissariato si ipotizzò che a inviare la lettera anonima fosse stata la moglie di Luigi, Elvira Zinno, sposata in seconde nozze, il 17 marzo 1921, ma con la quale era in lite per incompatibilità di carattere, spinta dal rancore e dall’odio, al solo scopo di danneggiarlo, nonostante la nascita di un figlio avvenuta proprio in quei giorni, o forse proprio a causa di questo.[28]
Inviato a Lipari, provò inutilmente a produrre un appello contro l’assegnazione al confino, seguito nei mesi successivi dalla moglie con una serie di suppliche, facendo inoltre presente che con lei viveva anche il padre, Gennaro Raiola, separato dalla moglie, ottenendo una serie di sussidi per mantenere la famiglia caduta nella più nera miseria. Con la morte della piccola Agnese, Vincenzo ottenne un breve permesso per consentirgli di partecipare ai funerali della figlia, scomparsa il 25 maggio 1927 nella casa paterna di via Gragnano 13.Quando anche la moglie, recatasi a Lipari con il figlio per accudire il marito ammalato, si aggravò a sua volta di apicite tubercolare cronica, malattia per la quale non si era curata, fu chiesta la liberazione del Giordano, l’istanza fu rigettata perché ancora considerato estremamente pericoloso. A sostegno della tesi l’Alto Commissario per la provincia di Napoli scrisse che all’indomani dell’ultimo attentato del 31 ottobre 1926, Vincenzo Giordano, pur consapevole dei rischi, non aveva esitato a recarsi a casa di Gino Alfani portandogli la sua solidarietà, per la casa devastata dalle squadre fasciste, decise a vendicarsi con violenza dei maggiori esponenti dell’antifascismo. Stessa sorte avevano subito altri noti dirigenti dell’area stabiese torrese, come Filippo Russo, Antonio Cecchi e i cugini Oscar e Achille Gaeta.
Fermato dalla polizia subito dopo, Giordano non negò le sue simpatie per l’ex sindaco e Segretario della Camera del Lavoro di Torre Annunziata e affermando senza problemi di aver voluto esprimere alla famiglia la sua solidarietà e l’affetto per il grande molisano. Come se non bastasse, in occasione della morte della figlia, tornato a casa per pochi giorni, non esitò a confermare ai familiari venuti a trovarlo la sua fedeltà al comunismo.[29] Ad aggravare la sua posizione fu il nuovo arresto subito nella stessa isola di Lipari il 10 dicembre 1927
Per avere in Lipari negli ultimi mesi dell’anno 1927, nella loro qualità di confinati politici svolto opera di ricostituzione e propaganda del disciolto Partito Comunista.[30]
Tradotto a Siracusa per essere nuovamente processato dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, fu prosciolto, unitamente agli altri 45 imputati, dalla Commissione Istruttoria presieduta dal Generale di Divisione, Achille Muscarà, per insufficienza di indizi il 16 agosto 1928 e riportato nella colonia di Lipari.
In considerazione dello stato miserevole della famiglia e delle stesse condizioni di salute di entrambi furono elargiti nei mesi successivi nuovi sussidi necessari alla pura sopravvivenza. Inutili le varie istanze presentate dalla Raiola, una volta ritornata a Castellammare tesi a far riavere la libertà al marito. A Castellammare non vi rimase molto, vivendo nella più squallida miseria, incapace di esercitare alcun mestiere, nei primi giorni di febbraio del 1929 si trasferì definitivamente a Lipari vivendo dei sussidi governativi fino a quando non completò la condanna e liberato il successivo 6 dicembre, finalmente libero di tornare a casa. Una libertà condizionata dal pesante controllo poliziesco, dalle continue perquisizioni e finanche fermato ogni qualvolta le autorità lo ritenevano necessario. Nel giugno 1933 si allontanò da Castellammare di Stabia mettendo in allarme le forze dell’ordine, sicuri di un suo clandestino tentativo d’espatrio, non esitando ad inserirlo nella famigerata Rubrica di frontiera col numero 14.850. Salvo depennarlo dopo qualche giorno in considerazione del suo rientro.[31] Ignoriamo i motivi di questo viaggio, se effettivamente vi fu.
Poiché non era nel suo destino vivere tranquillo, subì un nuovo fermo il 26 febbraio 1936, in seguito alla coraggiosa, ma spericolata diffusione di manifestini di contenuto sovversivo il 20 gennaio di quell’anno, in ricordo della strage di Piazza Spartaco operato da un nucleo comunista guidato da Luigi Di Martino. Le indagini avevano portato a numerosi arresti, alcuni avevano parlato, facendo nomi di altri militanti implicati, qualcuno fece il suo o forse fu una iniziativa dello stesso commissariato, tentato di allargare l’area dei sospettati. Di certo fu nuovamente indagato dalla polizia politica. Rilasciato in un primo momento, fu nuovamente arrestato il 7 marzo. Altri mesi di carcere, un nuovo processo sul banco degli imputati del famigerato Tribunale Speciale prima di essere rimesso in libertà per insufficienza di prove. Con lui altri sospettati, di cui ricordiamo Francesco Perez, Luigi Blundo, Catello De Angelis, Ignazio Mele, Amedeo Bacchi, Domenico Santaniello e Catello Bruno mentre i colpevoli dell’azione antifascista pagarono la loro ingenua audacia con diversi anni di carcere.[32]
Rientrato dal confino politico, Giordano non riebbe il suo posto nel cantiere navale, fece quindi richiesta di poter esercitare il mestiere di venditore ambulante di tessuti ottenendo in breve tempo il certificato d’iscrizione limitatamente al territorio di Castellammare di Stabia e Gragnano, giurisdizione nella quale ricadeva il Commissariato di Pubblica Sicurezza stabiese dopo la soppressione delle sottoprefetture. I periodici rapporti di controllo poliziesco evidenziarono un suo effettivo ritirarsi da ogni attività politica ma non per questo riuscì ad evitare fermi e perquisizioni. La sua abilità nel lavoro gli consentì in breve tempo di lasciare il lavoro ambulante per aprire un negozio di merceria
Quando finalmente il regime cadde e la libertà si affacciò nuovamente, Vincenzo Giordano riprese il suo posto nel movimento operaio, facendo parte del locale Comitato di Liberazione formato nelle concitate settimane successive alla fuga dei tedeschi sotto la presidenza del democristiano Silvio Gava. Nominato nell’agosto 1944 nel Comitato di Liberazione Nazionale di Napoli, lasciò la direzione del CLN stabiese al comunista Pietro Carrese. L’ultimo Presidente, prima dello scioglimento fu l’avvocato socialista, Luigi Rosano, marito di Rosa Cecchi. Altri componenti del Comitato locale, oltre Vincenzo Giordano, per il PCI furono Gerardo Schettino, Alberto Mango e Oscar Ossi, per la DC Catello Gargiulo, per il PLI Antonio Sorrentino, per il Partito d’Azione Andrea Luise (1877 – 1947), Eduardo Manniello e Achille Gaeta (1892 – 1957), per la Democrazia del Lavoro, Mario De Simone, per il PSI, Raffaele Guida (1888 – 1967), Pasquale Vanacore (1886 – 1966) e Raffaele Criscuoli (1887 – 1961), quest’ultimo un impiegato delle poste in pensione, ex repubblicano, già sottoposto a vigilanza politica quale oppositore del cessato regime. [33] Tra gli altri incarichi Giordano fece parte anche, con decreto prefettizio del 29 marzo 1945, del Comitato per l’assegnazione degli alloggi, traendone. Con lui un giovane studente in legge, il liberale Giovanni degli Uberti, destinato a diventare nel 1954 sindaco della città, spodestando il primo sindaco comunista, Pasquale Cecchi[34]
Giordano era stato un protagonista del movimento operaio stabiese, pagando a caro prezzo la sua militanza, per tutto questo nella sezione comunista aveva molta ascendenza, ma questo non impedì la rottura: Giordano aveva un idea del Partito aperto verso le nuove esperienze, ed invece quello che si andava costruendo era, nonostante la via nazionale al socialismo prospettata da Togliatti, chiuso nel suo settarismo sovietico. Ci furono riunioni di fuoco, dibattiti feroci, ma la linea era quella imposta dal Migliore e non si poteva transigere. Fu uno dei suoi ultimi atti politici, poi il suo nome scompare da ogni ulteriore vicenda politica locale. Sconfitto, Vincenzo Giordano preferì rinunciare alla sua militanza attiva, dando le dimissioni dal Partito. Vi ritornerà alcuni anni dopo, da semplice iscritto, restandovi fino alla sua morte. Si dedicò alla famiglia e al commercio, professione nella quale entrarono anche i diversi figli aprendo ognuno una propria autonoma attività.
Dei sei figli, soltanto Bruno si occuperà attivamente di politica, fino ad essere eletto consigliere comunale nelle elezioni amministrative del 26 novembre 1972 , guadagnandosi la nomina di assessore supplente nella Giunta del socialista Antonio Capasso e confermato in quella del comunista Liberato De Filippo. Sarà nuovamente rieletto il 6 giugno 1982, ma alla guida vi erano nuovamente i democristiani guidati dal notaio Francesco Saverio D’Orsi. Di politica si era interessato anche il fratello minore, Vincenzo, ma senza mai occupare cariche pubbliche.[35]
Nel dicembre 1955 Giordano fece domanda al Ministero del Tesoro per usufruire dei benefici relativi ad una legge del 10 marzo di quell’anno per garantire una serie di benefici, tra cui un assegno vitalizio di benemerenza, a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali successivi al 28 ottobre 1922,
Dalla relazione della Questura di Napoli inviata al Ministero dell’Interno del 13 febbraio 1956 apprendiamo che nel frattempo Giordano abitava al Corso Vittorio Emanuele, 37, gestiva un negozio di terraglie ed era in buone condizioni economiche.
La morte lo coglierà, ormai 70enne, il 28 marzo 1964 nella sua ultima abitazione di via Fusco.
NOTE:
[1]Per maggiori approfondimenti sulla nascita della sezione stabiese della Prima Internazionale cfr. Raffaele Scala: 1869. La breve vita della I Internazionale a Castellammare di Stabia, pubblicata nel portale web, Nuovo Monitore Napoletano, il 3 novembre 2017
[2]Antonio Ferrara: Violenze e fascismo nel napoletano. Il caso di Castellammare di Stabia. Piazza Spartaco (1921 – 2021), Francesco D’Amato Editore, 2021, pag. 186
[3]Antonio Barone: Piazza Spartaco. Il movimento operaio e socialista a Castellammare di Stabia. 1900-1922. Editori Riuniti, 1974, pag. 137
[4]Antonio Ferrara: Violenze e fascismo nel napoletano. Cit., pag. 127/128
[5]Il Soviet, Organo del Partito Comunista d’Italia, Sezione dell’Internazionale Comunista, Anno V, n. 46, 18
febbraio 1922: Il processo per i fatti di Castellammare di Stabia. Le figure morali dei compagni imputati.
[6]Il Soviet, n. 51, 15 aprile 1922: Castellammare esultante. Anche il quotidiano nazionale del PSI darà ampio spazio al processo e alla liberazione dei compagni assolti, cfr. Avanti!, 9 aprile 1922: L’eccidio di Castellammare e la montatura poliziesca. I precedenti. Il processo e l’assoluzione. Una dimostrazione a Castellammare. Il significato della sentenza.
[7]Raffaele Scala: Antonio Cecchi, in Resistoria, A cura di G. D’Agostino e S. de Majo, Quaderni n.2, 2021, pagg. 69-79.
[8]Il nome fu dato in onore di Vatslav Worowski (1871 – 1923), ingegnere e giornalista, noto militante e dirigente rivoluzionario russo che si mise in luce fin dal 1891. Subì diversi arresti, conobbe l’esilio, partecipò alla rivoluzione bolscevica del 1917. Fu assassinato in un Caffè di Losanna l’11 marzo 1923 da un oppositore russo. L’omicida fu assolto dal tribunale svizzero chiamato a giudicarlo. Su Worowski Giordano vi è una testimonianza dello stabiese Vittorio Iovino, rilasciata all’ANMI e pubblicata sul sitoweb, Libero Ricercatore, sui tragici giorni successivi all’8 settembre 1943. Riportiamo lo stralcio che lo riguarda: Di quei giorni confusi mi ricordo solo dei flash. Non saprei se prima o dopo la cattura del Comandante Baffigo, difensore del cantiere, Woronski Giordano detto il “tarantino”, di sua iniziativa lanciò una bomba a mano su una camionetta tedesca posta davanti al bar Spagnuolo; la camionetta andò a fuoco. Io che stavo in villa comunale, scappai verso casa per l’arco di San Catello. Probabilmente a decidere su questo nome non fu estraneo un articolo dell’Unità apparso qualche mese prima della sua nascita. Cfr. l’Unità, 11 maggio 1924:Ladislao Worowski. Giordano Worowski era nato il 18 luglio 1924.
Nell’informativa dei carabinieri del 23 dicembre 1926 la data di nascita di Worowski viene erroneamente datata 1914. Cfr. Legione Territoriale dei Carabinieri Reali di Napoli, Riservata Personale, n. 314/23. Le leggi fascistissime imporranno poi l’italianizzazione dei nomi stranieri in particolare di quelli ritenuti sovversivi, così Woronski divenne Nunzio per l’anagrafe, ma non per chi lo conosceva. Cfr. L’Unità, 26 giugno 1926: Si propone di cambiare nome d’ufficio a nomi sovversivi
[9]L’Unità, 17 maggio, 21 giugno, 20 luglio e 23 settembre 1924: Per l’Unità. Castellammare di Stabia. Tra i firmatari si leggono i nomi di Vincenzo Giordano, Antonio Cecchi, Luigi Di Martino, Vincenzo D’Assise, Luigi Blundo, Amedeo Bacchi, Vincenzo De Rosa, Aniello D’Orsi, Pietro Martorano, Pietro Carrese, Catello De Angelis, Giuseppe Selleri, Gennaro Di Capua, Vincenzo Caiazzo, Andrea Vollono, Vito Lucatorto, Pasquale Cecchi e molti altri. Per la manifestazione del I maggio cfr. l’Unità del 3 maggio 1924: La giornata del Primo Maggio. A Castellammare.
[10]ASN, MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale), Comando 145 Sezione, Rapporto informativo, 15 settembre 1924. Per maggiori particolari sulla visita di Mussolini al Regio Cantieri, cfr. La visita di Mussolini in Antonio Barone: Castellammare di Stabia. Pagine di storia, Edizioni Godot 1990, pagg. 97-103.
[11] L’Unità del 7 luglio e 9 agosto 1925: Riunione di cellula a Castellammare.
[12]L’Unità 11 agosto 1925: Violenze a Castellammare di Stabia; 2 settembre: Castellammare di Stabia. Fermi di comunisti in Campania; 19 settembre: I consensi del fascismo a Castellammare di Stabia. Perquisizioni e fermi precauzionali
[13] L’Unità, 26 settembre 1925: Convegno dei capi cellula a Castellammare di Stabia. Alcuni nomi dei partecipanti sono reperibili in Angelo Abenante: Per la libertà. Sorvegliati dell’Ovra a Torre Annunziata, Libreria Dante&Descartes, 2009, pag. 157
[14] Vincenzo Caiazzo sarà poi espulso dal partito “Per non saper dare spiegazioni circa la riscossione delle quote mensili della Fiom e per morosità verso il Partito”. Cfr. l’Unità del 27 gennaio 1926: Partito Comunista d’Italia
[15]ASN, Regia Sottoprefettura, riunione comunista in Castellammare di Stabia, 29 ottobre 1925
[16] Di questo incontro ne scrive Antonio Barone: Gramsci e Bordiga, uno storico incontro, in Cultura e Territorio, n. 9, 1992, pag. 133, rifacendosi ad alcune testimonianze di Catello Bruno, Gaetano Marino e Antonio Cafasso. Altre successive testimonianze di Giovanni Tagliamonte, Carlo D’Antò e Attilio Millo si trovano in Angelo Abenante: Per la libertà, cit. Il Congresso di Lione fu talmente clandestino e segreto che tutt’oggi non si conoscono i nomi di gran parte dei 70 delegati, almeno di quelli meno noti. L’Unità diede il primo, parziale resoconto del Congresso soltanto il successivo 24 febbraio. Ne seguirono altri il 28 e il 3 marzo in polemica con i resoconti pubblicati dall’Avanti! e dalla Voce Repubblicana.
[17] ASN, Convegno regionale del PCI, 4 gennaio 1926, Busta 510.
Stranamente, a differenza di altri incontri anche meno importanti, di questo non vi è traccia sul giornale comunista, l’Unità
[18] Gli iscritti erano rappresentati da 800 arsenalotti, 1000 metallurgici, 200 conservieri, 100 addetti oleifici e 200 pastai. Cfr. ACS, MI, DGPS: Situazione generale dei partiti sovversivi in Italia alla fine del 1925, busta 220.
[19] l’Unità dell’11 agosto 1925: 1.500 metallurgici in sciopero a Castellammare
[20] ACS, Confinati Politici: Giordano Vincenzo.
[21] l’Unità dell’11 agosto 1925: Violenze a Castellammare di Stabia
[22] l’Unità del 23 maggio 1926: Perquisizioni e fermi nel napoletano. Castellammare di Stabia.
Antonio Esposito lascerà Castellammare nel giugno 1926, riuscendo ad emigrare a Parigi, dove troverà lavoro quale rappresentante di una ditta di commercio. Stando ad una informativa della polizia politica del 15 luglio, a quella data non fu sostituito a Segretario della sezione comunista.
[23] ASN, Schedario politico, Sovversivi radiati, Federico D’Aniello, b. 11
[24]l’Unità, 17 settembre 1926: Perquisizioni ed arresti a Castellammare di Stabia.
[25] l’Unità del 16 ottobre 1926: Persecuzioni poliziesche a Castellammare di Stabia.
[26]ASN: Regio Commissario di PS Castellammare di Stabia: Relazione semestrale sui nuovi sovversivi. 12 gennaio 1927.
Scriveva il Commissario Antonio Vignali, un acerrimo, spietato avversario del sovversivismo locale, con personali antipatie e avversioni che non sempre lo facevano agire in maniera oggettiva, come dimostrò in più casi, il più noto dei quali fu la guerra dichiarata all’albergatore, Achille Gaeta: In questa città e nei comuni dipendenti da questo ufficio non esistono associazioni di corrente sovversiva. Gli elementi sovversivi locali più in vista e più noti per i loro precedenti politici e ritenuti tuttora pericolosi furono proposti per il confino politico, come l’avvocato Antonio Cecchi, il meccanico Vincenzo Giordano e il fontaniere Giovanni D’Auria. Altri sono stati proposti per l’ammonizione. Durante il semestre testé trascorso questo ufficio non trascurò sul loro conto la vigilanza nel caso, avendo fondati sospetti, che alcuni di essi potessero fare propaganda occulta della loro malsana teoria e furono operati varie perquisizioni con risultati sempre infruttuosi.
[27]ACS, Confino di polizia, Vincenzo Giordano, busta 484, Legione Territoriale dei Carabinieri Reali al Comando generale dell’Arma dei carabinieri, 23 dicembre 1926.
[28]ACS, CPC: Vincenzo Giordano, busta 2424.Commissariato per la Provincia di Napoli, 3 giugno 1927.
[29]ACS, Confino Politico: Vincenzo Giordano, cit. Alto Commissariato per la Provincia di Napoli a Ministero dell’Interno, 24 luglio 1924
[30]Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Registro Generale 828/1927, Sentenza n.180, Edizioni Ufficio Storico SME, 1981, pagg. 1035-1040. Con Giordano erano imputati altri 45 comunisti di ogni luogo d’Italia, tra cui ricordiamo Antonio Cecchi e Antonio Ferrara, entrambi nati a Scafati.
[31]ACS, CPC, Vincenzo Giordano, cit. Ministero dell’Interno, Direzione Generale della PS, 28 giugno 1933
[32]Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Sentenza n. 12 del 26 giugno 1936. Giordano fu detenuto dal 7 marzo al 26 giugno 1936. Furono condannati Luigi Di Martino, Francesco Marano e Giuseppe De Rosa a otto anni di carcere, Nunziante Martorano a sei e Guglielmo Perez a cinque. Unico assolto Roberto Vingiano. Di Martino, Perez e Marano, a seguito di clemenza uscirono dal carcere il 20 gennaio 1941, mentre Martorano era stato scarcerato il 31 agosto 1937 a seguito di una sua lettera di pentimento e relativa richiesta di grazia. Luigi Di Martino rigettò orgogliosamente la domanda di grazia presentata dalla moglie nel 1937, mentre furono respinte quelle presentate da De Rosa e dal padre nel 1939. Cfr. Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Sentenza n. 53 del 9 dicembre 1936 e Notizie desunte dai fascicoli di esecuzione allegati alla stessa.
Per un approfondimento dei fatti relativi al 20 gennaio 1936 Cfr. la biografia di Luigi Di Martino pubblicata in Resistoria, Quaderno dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, dell’Antifascismo e dell’Età Contemporanea, n. 3, a cura di G. D’Agostino e S. de Majo, Napoli, aprile 2022
[33] ASC, C. L.N. Sottocomitato di Castellammare, b. 632.
[34]ACS, CPC, Vincenzo Giordano, Questura di Napoli a Ministero dell’Interno, 13 febbraio 1956.
La Commissione agli alloggi per il comune di Castellammare era stata formalizzata con decreto del Prefetto Francesco Selvaggi il 27 febbraio 1945 ed era presieduta dall’avvocato Pietro Angrisani, vice pretore onorario, dal giovane liberale, Giovanni degli Uberti studente in legge su nomine del locale CLN e futuro sindaco stabiese, oltre naturalmente, che da Vincenzo Giordano su indicazione del PCI. Cfr. ASN, Terzo Versamento, busta 306.
[35] Per queste e altre preziose informazioni sulla famiglia Giordano si ringrazia Gennaro, classe 1935, il penultimo figlio del grande antifascista. Gennaro una vita vissuta nel commercio, aprendo un suo negozio a via Sarnelli e come rappresentante di prodotti per la casa.