Zìo Catello scapolo impenitente?
Zio Catello, era il maggiore dei fratelli di mia madre, scapolo; per questo mio nonno, durante il ventennio fascista, era costretto a particolari aggravi fiscali. Zi’ Vicenza, secondogenita, anch’ella a sua volta non aveva incontrato l’anima gemella. Zio Catello, però, aveva avuto un grande amore in gioventù, una ragazza bellissima, dai capelli rossi e dalle forme seppur acerbe già sinuose, i suoi occhi cerulei si infiammavano come il sole al tramonto nell’incrociare lo sguardo del giovane amante. I due si incontravano di nascosto presso il vico della Croce, mentre lo sguardo compiacente della Trecchesella, la fruttivendola ai piedi del vicolo, faceva da distratto testimone. La Guerra, la seconda, si frappose fra loro. Zio Catello rimasto prigioniero in Grecia per qualche tempo, mai avrebbe dimenticato l’ultimo giorno passato insieme a lei. Un vestitino leggero, fatto di fiori colorati le cingeva i fianchi, lasciando appena un po’ scoperto il petto, ad ogni sussulto, ad ogni brivido quei fiori sembravano prendere vita propria. “Catie’, ije t’aspetto” gli disse fra le lacrime; “Aspèttame e quanne torno ‘ce spusamme”; triste, le replicò lui. Le lacrime di lei, gli sarebbero sembrate poi, finanche più salate del mare cristallino di Cefalonia.
La giovane fidanzata, poco più di una ragazzina, cercò di tener fede alla promessa fatta fra le dolorose gocce della disperazione; tuttavia dovette darsi pace, del resto non aveva mai ricevuto uno scritto, una lettera, una foto da lui. Un giovane le stava dietro; e la famiglia le faceva intendere che forse sfamare una bocca in meno, avrebbe aiutato gli altri a sopravvivere (la rossa era la maggiore di cinque figli, tutti molto più piccoli di lei). Alla fine, temendo il peggio per zio Catello, paventando di rimanere sola per sempre, cedette. Iniziò a frequentare il giovane che aveva trovato lavoro ai Cantieri Navali, un reddito sicuro, era un’occasione da non perdere. Zi’ Vicenza, disturbata da questo, per riabilitare il fratello, un giorno decise di affrontare la rossa in maniera molto risoluta. Zia Vincenza, di statura minuta, aveva un disturbo congenito all’anca che la faceva claudicare vistosamente, purtroppo, l’equilibrio già precario nella deambulazione, non si conciliava affatto con un’attività fisica come quella del combattimento corpo a corpo. Come poteva prevedersi, nello scontro che nacque improvviso nel bel mezzo di Piazza Fontana Grande, la mia povera zia ebbe la peggio; la nonna dovette curarle almeno quattro ferite lacero contuse alla testa, forse: zoccolate; alcuni graffi, e dovette rammendarle il vestito buono che aveva messo appena due volte nella sua vita: in occasione della Prima Comunione della sorella minore (mia madre) e, quando era morto il loro nonno materno.
Zio Catello, tornò dalla prigionia due anni quasi dopo la fine della Guerra, un camionista dedito al mercato nero sulla Costiera Sorrentina, lo aveva lasciato nei pressi delle Terme Stabiane (oggi Piazza Amendola). La brezza estiva, leggera gli riportava l’odore del mare misto a quello delle acque termali, salutato che ebbe il contrabbandiere a larghi passi si diresse verso casa. La città ferita, nonostante i suoi guai sembrava sorridergli, mentre passava alle loro spalle, riconobbe uno ad uno, i fabbricati affacciati sulla marina. Da lontano scorse una sagoma familiare, ogni notte aveva sognato di lei, ogni giorno durante la dura prigionia aveva parlato di lei, finalmente poteva riabbracciarla. La rossa indossava il medesimo vestitino a fiori di qualche anno prima, scolorito, pesto, invecchiato, appena più stretto; aveva in braccio un bimbino dai capelli rossi, ed un altro anch’egli rosso di capelli, di circa due anni, le cingeva la coscia sinistra con le braccia protese, un filo di mocciolo faceva, ritmicamente, su e giù ogni qualvolta respirava. Zio Catello aveva compreso tutto! La fruttivendola che fino a pochi anni prima, complice, li aveva benedetti con il suo sguardo, abbassò gli occhi, la rossa ebbe giusto il fiato di momorare: “Catie’ tu ccà staje?!?”. Zio Catello, sordo, senza mostrare alcuna emozione, ignorandola continuò per la sua strada. In casa c’era sola, zì Vicenza, i nonni erano in giro, il resto dei fratelli tutti a lavoro. Appena zi’ Catiello entrò dalla porta, strascurando persino la sorella che non vedeva da almeno tre anni, si mise a rovistare in una vecchia cassapanca alla ricerca di qualcosa, smadonnando come suo solito contro il disordine imperante in quella casa, buttò all’aria tutti gli attrezzi del nonno, finalmente trovò quel che stava cercando, un vecchio rasoio a lama libera. Molto maldestramente tentò di aprirlo, la frenesia e l’ira di cui era vittima, glielo fecero sfuggire dalle mani tremanti, si tagliò un polpastrello. La testa bassa dalla sconfitta, svigorito, poggiò le mani sul davanzale della finestra, una goccia di sangue cadde su di esso, e poi una lacrima rincorrendola la ritinse di rosa, sbiadendola. Zì Vicenza disse: “Catie’ lassa sta’ c’aggio già pensato ije!”.
P.S.: Appena due anni dopo la rossa rimase vedova, zio Catello e lei, senza mai sposarsi, continuarono ad amarsi per tutta la vita.
Corrado di Martino